La terapia di problem-solving (Problem-Solving Therapy, PST) è un approccio psicologico strutturato e breve, sviluppato originariamente da D’Zurilla e Goldfried negli anni ’70, per aiutare i pazienti a fronteggiare in modo efficace i problemi della vita quotidiana. Si fonda sull’ipotesi che molte forme di disagio depressivo siano associate a una percezione di impotenza o inefficacia nel gestire situazioni problematiche, e che il miglioramento delle competenze di coping possa ridurre significativamente i sintomi affettivi.
A differenza degli approcci psicodinamici o cognitivi classici, la PST non si concentra su emozioni o pensieri profondi, ma sulla capacità pratica di affrontare e risolvere i problemi della vita reale, attraverso una serie di passaggi guidati, sistematici e replicabili.
Secondo il modello originario, la depressione può emergere quando l’individuo si trova di fronte a situazioni stressanti o difficili che non riesce a gestire adeguatamente, sia per mancanza di strategie efficaci, sia per un atteggiamento disfunzionale nei confronti dei problemi.
Tale disfunzionalità si manifesta tipicamente in due aree:
La PST si propone quindi di modificare l’approccio del paziente ai problemi e di fornirgli strumenti pratici per affrontarli in modo efficace, recuperando un senso di padronanza e riducendo l’emergere di pensieri depressivi e di impotenza appresa.
La terapia di problem-solving è generalmente articolata in 6–12 sedute, con un protocollo chiaro e replicabile, che prevede l’insegnamento e l’applicazione di sei passaggi fondamentali:
Il terapeuta ha un ruolo attivo, guida il paziente con esempi, role playing e feedback correttivo, mantenendo un focal point concreto e orientato all’azione. La terapia può essere integrata con homework, schede di monitoraggio e rinforzo delle capacità apprese.
La PST si è dimostrata particolarmente efficace nel trattamento della depressione lieve e moderata, soprattutto quando il disagio psicologico è legato a problemi concreti non risolti, come conflitti familiari, difficoltà economiche, stress lavorativo o malattie fisiche croniche.
Le principali indicazioni includono:
La PST è spesso utilizzata anche in modalità integrata con la farmacoterapia, o come introduzione ad approcci più complessi, grazie alla sua facilità di applicazione e alla sua struttura altamente pragmatica.
Numerose metanalisi hanno confermato l’efficacia della PST nel ridurre i sintomi depressivi, in particolare nei contesti di assistenza primaria e nei pazienti con basso accesso ad altri trattamenti psicologici. I risultati sono paragonabili a quelli della CBT nelle depressioni non gravi, con una buona accettabilità e costi contenuti.
Le linee guida NICE raccomandano la PST come opzione di prima scelta per la depressione lieve, specialmente nei programmi di stepped care. L’APA la considera una strategia supportata da buone evidenze nei contesti clinici a bassa intensità, mentre il CANMAT la include tra le terapie efficaci a breve termine per pazienti con buona capacità di coinvolgimento attivo.
L’approccio ha mostrato risultati particolarmente positivi nella riduzione della ruminazione, nella prevenzione delle ricadute e nell’aumento della percezione di efficacia personale, elementi centrali nel recupero da un episodio depressivo.
La Terapia di Problem-Solving è un modello semplice, diretto e fondato su evidenze solide, adatto sia in fase acuta che come strumento di prevenzione. Il suo focus pratico e l’approccio collaborativo la rendono accessibile a una vasta gamma di pazienti, anche con basso livello di istruzione o limitata alfabetizzazione emotiva.
In un’epoca in cui i problemi reali e le difficoltà ambientali giocano un ruolo crescente nella genesi dei disturbi dell’umore, la PST si propone come un ponte efficace tra psicologia clinica e intervento sociale, favorendo il cambiamento concreto e la ripresa del senso di agency.