Negli ultimi anni, gli psichedelici classici come la psilocibina e l’ayahuasca hanno suscitato un rinnovato interesse nel trattamento della depressione maggiore resistente e delle forme depressive associate a patologie terminali. Queste sostanze, per decenni escluse dalla ricerca clinica, stanno oggi emergendo come potenziali strumenti terapeutici in protocolli psicoterapici controllati, offrendo un approccio innovativo e profondo alla sofferenza psichica.
Gli studi attuali non propongono un impiego “farmacologico” in senso stretto, bensì l’integrazione della somministrazione di psichedelici all’interno di un percorso terapeutico strutturato, che prevede preparazione, somministrazione assistita e integrazione post-esperienza. Questo approccio è noto come psicoterapia assistita da psichedelici.
Gli psichedelici classici agiscono come agonisti parziali del recettore 5-HT2A della serotonina, particolarmente espressi nella corteccia prefrontale e nelle aree associative del cervello. La loro attivazione genera uno stato di aumentata entropia cerebrale, con disgregazione temporanea dei consueti pattern di connettività funzionale (default mode network) e promozione di una maggiore flessibilità cognitiva.
Questo stato neurofisiologico favorisce la ristrutturazione cognitivo-affettiva e può indurre un’intensa esperienza soggettiva (alterazioni della coscienza, visioni, insight), che – se correttamente contestualizzata – apre a processi di elaborazione profonda di traumi, convinzioni disfunzionali e schemi depressivi rigidi.
La psilocibina, estratta da funghi allucinogeni del genere Psilocybe, è la sostanza più studiata. Somministrata in singole dosi orali (20–30 mg) in ambiente controllato, ha mostrato efficacia rapida e duratura nella depressione resistente, con miglioramenti clinici anche a distanza di mesi. I risultati sono particolarmente promettenti nel trattamento della depressione associata a malattie oncologiche terminali, dove ha ridotto ansia, disperazione e anedonia.
L’ayahuasca è una bevanda amazzonica a base di Banisteriopsis caapi e Psychotria viridis, che contiene DMT (dimetiltriptamina) e inibitori delle MAO naturali. La sua azione è simile a quella della psilocibina ma più intensa e breve, con potenti effetti visivi, somatici e introspettivi. Gli studi clinici controllati indicano una rapida riduzione dei sintomi depressivi già dopo una singola assunzione.
Gli psichedelici non sono somministrati in isolamento, ma all’interno di un setting terapeutico strutturato che include:
Gli effetti collaterali sono in genere transitori e dose-dipendenti: ansia, nausea, disforia, confusione temporanea. Le reazioni avverse gravi sono rare in contesti clinici controllati. Tuttavia, sono controindicati in pazienti con storia personale o familiare di psicosi, disturbi bipolari o vulnerabilità psicotica.
Le sperimentazioni cliniche con psilocibina sono attualmente in fase III per la depressione resistente e in fase avanzata anche per disturbi correlati all’ansia e all’uso di sostanze. L’FDA ha riconosciuto lo status di breakthrough therapy per la psilocibina in depressione, accelerandone i percorsi di sviluppo.
L’integrazione con tecniche psicoterapiche sembra fondamentale per il mantenimento dei benefici. Si ipotizza che questi interventi non agiscano solo sul sintomo, ma ristrutturino profondamente la percezione del sé, il senso di connessione e la visione della vita.