In medicina, il termine depressione identifica una vera e propria patologia psichica, spesso severamente invalidante, la cui forma clinica centrale è rappresentata dall’episodio depressivo maggiore.
Si parla di episodio depressivo maggiore quando si osserva, per almeno due settimane consecutive, un quadro clinico dominato da umore depresso (o irritabile nei bambini e adolescenti) e/o da una marcata perdita di interesse o piacere per quasi tutte le attività, accompagnato da almeno quattro dei seguenti sintomi:
Affinché la diagnosi sia valida, tali sintomi devono rappresentare una chiara modificazione rispetto al funzionamento premorboso, con compromissione significativa del funzionamento sociale, lavorativo o personale. In alcuni casi, sebbene il soggetto appaia funzionalmente integro, tale condizione è mantenuta solo grazie a un enorme sforzo interiore. Nei casi gravi può verificarsi anche un completo abbandono della cura di sé (alimentazione, igiene, abbigliamento).
È essenziale escludere che il quadro sintomatologico soddisfi i criteri per un episodio misto, che sia effetto di sostanze (farmaci, droghe) o patologie organiche (es. ipotiroidismo), e che non sia meglio spiegabile da reazioni a eventi luttuosi o situazioni transitorie.
In alcuni individui i sintomi depressivi si manifestano prevalentemente come lamentele somatiche; nei bambini e negli adolescenti è frequente invece una spiccata irritabilità. La perdita di interesse o piacere è quasi costantemente presente, spesso notata dai familiari prima che venga riferita direttamente dal paziente, con comportamenti quali ritiro sociale e rinuncia alle attività consuete. Talvolta si osserva anche riduzione del desiderio sessuale.
Le alterazioni dell’appetito si manifestano più frequentemente come inappetenza, ma in alcuni casi può verificarsi un aumento dell’introito alimentare o una preferenza per cibi specifici. Nei bambini, una severa compromissione dell’appetito può impedire il raggiungimento dei normali livelli ponderali.
L'insonnia rappresenta il disturbo del sonno più comune e può presentarsi in diverse forme:
Più raramente si osserva ipersonnia, che può comportare un prolungamento del sonno notturno o un aumento delle ore diurne dedicate al sonno. In molti casi, il disturbo del sonno rappresenta il motivo principale della richiesta di consulto medico.
Studi polisonnografici rivelano anomalie del sonno nel 40-60% dei pazienti ambulatoriali e nel 90% di quelli ospedalizzati, con i seguenti riscontri più comuni:
Lealterazioni psicomotorie possono manifestarsi come agitazione o rallentamento motorio. Per essere clinicamente significative devono essere osservabili anche da parte di terzi, e non limitarsi a sensazioni soggettive. Frequenti sono la riduzione dell’energia vitale, l’astenia e l’affaticabilità anche in assenza di attività fisica.
Isentimenti di autosvalutazione e di colpa si presentano in forma eccessiva o inappropriata, fino ad assumere tratti deliranti. Il soggetto può interpretare eventi neutri come prova della propria indegnità o sentirsi colpevole per errori passati, assumendosi una responsabilità sproporzionata per eventi sfavorevoli.
La capacità di concentrazione risulta spesso compromessa. Il soggetto riferisce difficoltà a pensare, prendere decisioni, memorizzare. Negli anziani, questi sintomi possono simulare un esordio di demenza, rendendo difficile la diagnosi differenziale.
I pensieri di morte sono frequenti e assumono diversi livelli di gravità. Possono esprimersi come convinzione che gli altri starebbero meglio senza la persona, ideazione suicidaria ricorrente senza un piano preciso, oppure presenza di un piano concreto e dettagliato, accompagnato talvolta dall’acquisto di oggetti per il suicidio (es. corda, arma da fuoco). La pericolosità aumenta con la specificità del piano e la disponibilità dei mezzi, ma è impossibile predire con certezza se e quando il soggetto compirà il gesto.
L'ideazione suicidaria può scaturire dalla sensazione di impotenza di fronte a difficoltà percepite come insormontabili o dalla volontà di porre fine a uno stato emotivo intollerabile. In questi casi, l’intervento clinico tempestivo è fondamentale.
Gli individui colpiti da episodio depressivo maggiore manifestano frequentemente pianto facile, irritabilità, ruminazione, ansia, preoccupazioni ossessive per la salute e difficoltà nelle relazioni affettive e sociali. È frequente l’insorgenza di problemi scolastici o lavorativi, così come l’abuso di sostanze psicoattive e l’incremento della richiesta di cure mediche.
La sintomatologia depressiva si sviluppa tipicamente in pochi giorni o settimane, spesso preceduta da una fase prodromica con sintomi lievi di ansia e umore deflesso, che può protrarsi per settimane o mesi. Se non trattato, un episodio depressivo maggiore dura mediamente oltre 4 mesi. In circa il 70-80% dei casi si verifica una remissione completa, mentre nel restante 20-30% persistono sintomi subclinici per mesi o anni, senza però soddisfare pienamente i criteri per l’episodio depressivo maggiore.
Le basi fisiopatologiche dell’episodio depressivo maggiore implicano una deregolazione dei sistemi neurotrasmettitoriali, in particolare della serotonina, norepinefrina, dopamina, acetilcolina e GABA. Inoltre, sono stati implicati anche alcuni neuropeptidi (come il CRH, ormone di rilascio della corticotropina), alterazioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, ipersecrezione di glucocorticoidi e risposte attenuate a test di stimolazione per GH, TSH e prolattina.
In alcuni pazienti sono state osservate alterazioni del metabolismo e del flusso cerebrale, con incremento dell’attività nelle regioni limbiche e paralimbiche, e riduzione nelle aree prefrontali laterali. Nei soggetti anziani la depressione può associarsi a lesioni vascolari periventricolari e ad altre modificazioni strutturali cerebrali, suggerendo una sovrapposizione con la patologia cerebrovascolare.
L’episodio depressivo maggiore può presentare una varietà di quadri clinici che influenzano la gravità, la durata e l’approccio terapeutico. Quando l’episodio rappresenta la manifestazione più recente all’interno di un disturbo dell’umore, è possibile caratterizzarlo ulteriormente con specificazioni cliniche.
In base alla presenza di sintomi si indentificano 3 livelli di gravità:
In base al decorso, l’episodio può essere ulteriormente specificato come:
Oltre alla gravità e al decorso, l’episodio può essere caratterizzato in base ad aspetti clinici aggiuntivi:
La definizione accurata delle specificazioni è fondamentale per l’adeguata pianificazione terapeutica e per la prognosi. Episodi con caratteristiche melanconiche o catatoniche, con sintomi psicotici o post-partum, richiedono un’attenta valutazione specialistica e, spesso, un trattamento più intensivo e multimodale.
L’episodio depressivo maggiore non è semplicemente una condizione psichica soggettiva, ma riflette alterazioni complesse dei sistemi neurobiologici che regolano l’umore, la motivazione e la risposta allo stress.
A livello fisiopatologico, è documentata una deregolazione dei principali neurotrasmettitori coinvolti nella modulazione dell’umore:
Inoltre, sono stati coinvolti anche:
È frequente una iperattivazione dell’asse HPA, documentata da:
La neuroimaging funzionale ha evidenziato alterazioni del metabolismo cerebrale e del flusso ematico:
In soggetti anziani, l’esordio tardivo della depressione può correlarsi a alterazioni strutturali cerebrali, in particolare a lesioni vascolari della sostanza bianca periventricolare, suggerendo una componente “vascolare” nella fisiopatologia di alcune forme depressive.
L’episodio depressivo maggiore ha un decorso estremamente variabile da persona a persona. Nella maggior parte dei casi, i sintomi si sviluppano nel giro di giorni o settimane, spesso preceduti da un periodo prodromico con disturbi del sonno, ansia, irritabilità o calo dell’energia.
Senza trattamento, la durata media dell’episodio è di circa 4-9 mesi, ma in alcuni casi può protrarsi per anni. Nella maggioranza dei pazienti si osserva una completa remissione, ma circa il 20-30% presenta sintomi residui persistenti (come anergia, disturbi del sonno o deficit cognitivi) anche dopo la risoluzione dell’episodio acuto.
La recidiva è frequente: circa il 50% dei soggetti che hanno avuto un episodio depressivo maggiore andrà incontro ad un secondo episodio nel corso della vita, e il rischio aumenta ulteriormente dopo due o più episodi. Fattori di rischio per recidiva includono:
La prognosi migliora con una diagnosi precoce e un trattamento adeguato, che include farmacoterapia, psicoterapia e, in casi selezionati, strategie integrate o terapie fisiche (stimolazione vagale, TMS, ECT).
Il rischio suicidario, sebbene non facilmente prevedibile, è significativamente aumentato nei soggetti depressi, specie se vi è anedonia marcata, isolamento sociale, sintomi psicotici o fallimenti terapeutici multipli.
La presa in carico tempestiva, la continuità assistenziale e la personalizzazione del trattamento rappresentano le chiavi per una gestione efficace e una prognosi favorevole.
La diagnosi di episodio depressivo maggiore richiede una valutazione accurata, poiché sintomi depressivi possono manifestarsi in numerosi altri contesti patologici. È pertanto essenziale una differenziazione clinica attenta, volta ad escludere condizioni che possono mimare un episodio depressivo maggiore ma che richiedono approcci terapeutici differenti.
1. Lutto fisiologico: il dolore per la perdita di una persona cara può provocare tristezza profonda, insonnia e perdita di appetito. Tuttavia, nel lutto fisiologico:
2. Episodio depressivo nel disturbo bipolare: il quadro clinico può essere indistinguibile da quello di un disturbo unipolare. Tuttavia, la presenza in anamnesi di episodi maniacali, ipomaniacali o misti è diagnostica per il disturbo bipolare. In questi casi, la diagnosi corretta è disturbo bipolare tipo I o II, a seconda della gravità e tipologia degli episodi maniacali.
3. Disturbi d’ansia e disturbi somatoformi: l’ansia cronica può generare stanchezza, insonnia, difficoltà cognitive e ritiro sociale. Anche i disturbi somatoformi (soprattutto quelli da sintomi somatici) possono mimare la depressione, ma in questi casi il focus clinico è sui sintomi fisici, spesso multipli e resistenti alle indagini mediche.
4. Demenze: negli anziani, soprattutto nelle fasi iniziali, una depressione maggiore può essere scambiata per una sindrome demenziale (pseudodemenza depressiva). La differenza principale risiede nel fatto che i deficit cognitivi nella depressione sono spesso fluttuanti, reversibili e accompagnati da anedonia, rallentamento psicomotorio e ridotto investimento nella performance.
5. Patologie mediche generali: endocrinopatie (ipotiroidismo, morbo di Cushing), patologie neurologiche (ictus, sclerosi multipla, malattia di Parkinson) e neoplasie possono manifestarsi con sintomi depressivi. In questi casi, il quadro clinico si accompagna a segni somatici caratteristici e non risponde alle terapie antidepressive standard. Fondamentale è l’esclusione tramite indagini di laboratorio e strumentali mirate.
6. Farmaci e sostanze: numerosi farmaci (beta-bloccanti, corticosteroidi, interferone, anticoncezionali, benzodiazepine) possono indurre sintomi depressivi. Anche l’abuso o la sospensione di sostanze psicoattive (alcool, cocaina, oppiacei) deve sempre essere indagata.
L’episodio depressivo maggiore rappresenta una patologia complessa, con manifestazioni cliniche multisfaccettate e basi neurobiologiche articolate. Richiede una valutazione accurata, multidimensionale, che comprenda la storia clinica, la presenza di fattori di rischio, l’esclusione di condizioni mediche concomitanti e la corretta differenziazione da altre forme di sofferenza psicopatologica.
La gestione ottimale passa per una diagnosi precoce, una presa in carico empatica e strutturata, e l’impiego di strategie terapeutiche integrate e personalizzate, in grado di ridurre il rischio di cronicizzazione, disabilità e suicidio.