In medicina, la depressione rappresenta una patologia particolarmente rilevante, che si manifesta attraverso diverse entità nosologiche, tra le quali la più frequente è il disturbo depressivo maggiore.
La caratteristica essenziale di questo disturbo è un decorso clinico contraddistinto da uno o più episodi depressivi maggiori, in assenza di una storia pregressa di episodi maniacali, misti o ipomaniacali.
Inoltre, affinché l’episodio sia diagnosticabile come tale, devono essere soddisfatte anche le seguenti condizioni:
Nota: Nei bambini e negli adolescenti, al posto dell’umore depresso può manifestarsi un umore irritabile.
La conseguenza più grave di questa condizione è rappresentata dalla morte per suicidio, che si verifica in circa il 15% dei pazienti. È inoltre stata osservata una certa familiarità per il disturbo, che risulta da 1,5 a 3 volte più frequente tra i familiari di primo grado dei soggetti affetti rispetto alla popolazione generale.
Quando si verifica un unico episodio depressivo maggiore, si parla di disturbo depressivo maggiore a singolo episodio; se invece sono presenti due o più episodi distinti, la diagnosi è di disturbo depressivo maggiore ricorrente. In alcuni casi, la distinzione non è agevole, soprattutto quando si ha un solo episodio con fluttuazioni dell’intensità sintomatologica che possono simulare una recidiva. Per definire concluso un episodio è necessario che i criteri diagnostici non siano più soddisfatti da almeno due mesi.
Il disturbo può esordire a qualsiasi età, con un’età media d’esordio intorno ai 25 anni. Il decorso, nei casi ricorrenti, è molto variabile: alcuni pazienti presentano episodi isolati seguiti da lunghi periodi di benessere, altri vanno incontro a gruppi di episodi ravvicinati, altri ancora manifestano episodi sempre più frequenti con l’avanzare dell’età.
I disturbi depressivi maggiori vengono classificati in base alle caratteristiche dell’ultimo episodio depressivo maggiore (o dell’unico episodio, nei casi non ricorrenti). I casi ricorrenti possono essere ulteriormente differenziati in base all’andamento dei periodi interepisodici:
Si parla invece di disturbo depressivo maggiore ad andamento stagionale qualora esista una correlazione temporale ricorrente tra l’esordio degli episodi e una specifica stagione dell’anno. Nella maggior parte dei casi, gli episodi insorgono in autunno o in inverno e si risolvono in primavera; più raramente si osservano ricorrenze estive.
Affinché possa essere formulata questa diagnosi, è necessario che il pattern stagionale di esordio e remissione si sia ripetuto nei due anni precedenti, senza la comparsa di episodi non stagionali nello stesso intervallo, e che gli episodi stagionali superino numericamente quelli non stagionali nel corso della vita del paziente. Inoltre, tale andamento non deve essere giustificato da fattori psicosociali stagionali (es. attività scolastiche o lavorative). La stagionalità invernale è più frequente a latitudini elevate, nei soggetti giovani e nelle donne.
Infine, è importante ricordare che, qualora durante il decorso di un episodio depressivo maggiore insorgano manifestazioni maniacali, miste o ipomaniacali, la diagnosi va rivista e modificata in disturbo bipolare.