Gli antidepressivi di seconda generazione comprendono un insieme eterogeneo di molecole sviluppate a partire dagli anni ’80, che hanno progressivamente sostituito i triciclici (TCA) e gli inibitori delle monoamino ossidasi (IMAO) come prima scelta nel trattamento della depressione maggiore. Pur presentando meccanismi d’azione differenti, condividono una maggiore selettività farmacologica e una minore incidenza di effetti collaterali rispetto agli antidepressivi di prima generazione.
Il denominatore comune di questi farmaci è la modulazione della trasmissione monoaminergica — principalmente serotonina (5-HT), noradrenalina (NA) e dopamina (DA) — ottenuta attraverso l’inibizione selettiva della ricaptazione, il blocco di recettori specifici o un’azione sinergica multimodale. Queste caratteristiche permettono un approccio terapeutico più personalizzato, in base al profilo clinico e sintomatologico del paziente.
Tutti gli antidepressivi di seconda generazione richiedono un inizio a basse dosi e una titolazione graduale, con una latenza di risposta clinica generalmente compresa tra 2 e 4 settimane. Il trattamento deve essere mantenuto per almeno 6–12 mesi dopo la remissione per ridurre il rischio di ricadute, e può proseguire più a lungo in caso di depressione ricorrente.
Gli antidepressivi di seconda generazione si suddividono in diverse sottoclassi in base al loro meccanismo d’azione:
Ogni sottoclasse presenta specificità farmacodinamiche e farmacocinetiche che influenzano la scelta terapeutica, la risposta clinica e il profilo di tollerabilità individuale.
Gli SSRI (Selective Serotonin Reuptake Inhibitors) rappresentano la classe più utilizzata nella terapia della depressione maggiore e costituiscono generalmente la prima linea farmacologica raccomandata dalle linee guida internazionali. La loro azione consiste nell’inibizione selettiva del trasportatore della serotonina (SERT), che determina un aumento delle concentrazioni sinaptiche di 5-HT, potenziandone l’effetto su vari recettori postsinaptici. L’effetto clinico non è immediato: pur essendo la modulazione recettoriale rapida, la risposta sintomatologica richiede circa 2–4 settimane, periodo necessario per la neuroadattazione.
I farmaci appartenenti a questa classe includono: fluoxetina, sertralina, escitalopram, citalopram, paroxetina e fluvoxamina. Nonostante il meccanismo d’azione condiviso, ciascuno di essi presenta un profilo farmacocinetico e recettoriale peculiare, che ne condiziona la scelta in base alle caratteristiche del paziente.
Dal punto di vista clinico, gli SSRI sono indicati non solo per la depressione maggiore unipolare, ma anche per numerosi disturbi comorbidi: disturbo d’ansia generalizzato, fobia sociale, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo da stress post-traumatico e bulimia nervosa. La loro tollerabilità generale è buona, il rischio di tossicità in sovradosaggio è basso, e il profilo farmacologico li rende adatti a pazienti ambulatoriali e a lungo termine.
Gli effetti collaterali più frequenti sono legati alla stimolazione serotoninergica periferica: nausea, cefalea, insonnia, diarrea o stipsi, e riduzione della libido o anorgasmia. Nella maggior parte dei casi, questi sintomi sono transitori e si riducono entro le prime settimane di terapia. Tuttavia, in alcuni pazienti possono persistere, condizionando l’aderenza.
Tra le molecole disponibili, alcune differenze cliniche possono orientare la scelta:
La scelta dell’SSRI va dunque calibrata su base sintomatologica, storia farmacologica, profilo metabolico del paziente e presenza di comorbidità. In caso di scarsa risposta, è possibile aumentare il dosaggio entro i limiti previsti, oppure valutare un passaggio a un’altra molecola della stessa classe o a un farmaco con meccanismo diverso.
L’interruzione del trattamento deve essere sempre graduale, per evitare fenomeni da sospensione, soprattutto con molecole a emivita breve come paroxetina. La fluoxetina, al contrario, può essere sospesa con maggiore flessibilità grazie alla lunga emivita e alla presenza di metaboliti attivi.
Gli SNRI (Serotonin-Norepinephrine Reuptake Inhibitors) rappresentano un’importante evoluzione rispetto agli SSRI, poiché agiscono inibendo simultaneamente i trasportatori della serotonina (SERT) e della noradrenalina (NET). Questa doppia azione li rende particolarmente indicati nei casi di depressione con sintomi di anergia, apatia, rallentamento psicomotorio o quando è presente una significativa componente dolorosa. I principali principi attivi in uso sono venlafaxina, desvenlafaxina, duloxetina e milnacipran.
La maggiore stimolazione noradrenergica conferisce agli SNRI un profilo attivante, con effetto energizzante e talvolta ansiogeno nelle fasi iniziali, che richiede prudenza nei pazienti agitati o con disturbi d’ansia non controllati. Il meccanismo di azione bifasico della venlafaxina, ad esempio, mostra una prevalente inibizione serotoninergica a basse dosi e una più significativa azione noradrenergica solo oltre i 150 mg/die.
Dal punto di vista clinico, oltre alla depressione maggiore, gli SNRI sono approvati anche per il disturbo d’ansia generalizzato, il disturbo da panico e in particolare per dolori neuropatici e fibromialgia, indicazioni per le quali duloxetina è tra i farmaci di prima scelta.
Gli effetti collaterali sono simili a quelli degli SSRI, ma includono anche ipertensione dose-dipendente (soprattutto con venlafaxina), tachicardia e talvolta insonnia, agitazione, sudorazione eccessiva. È raccomandato monitorare la pressione arteriosa, soprattutto nei pazienti con anamnesi cardiovascolare. L’incidenza di disfunzioni sessuali è elevata, seppur variabile tra le molecole.
Alcune indicazioni orientative per la scelta:
Come per gli SSRI, anche gli SNRI vanno sospesi progressivamente. In particolare, la venlafaxina è nota per il rischio di sindrome da sospensione intensa, caratterizzata da vertigini, parestesie, irrequietezza, disturbi del sonno e sbalzi d’umore. Il tapering deve essere lento e attentamente monitorato.
La mirtazapina è l’unico rappresentante clinicamente rilevante della classe dei NaSSA (Noradrenergic and Specific Serotonergic Antidepressants). Il suo meccanismo d’azione è peculiare: agisce come antagonista dei recettori alfa2 presinaptici, determinando un aumento del rilascio di noradrenalina e serotonina, e antagonista selettivo dei recettori serotoninergici 5-HT2 e 5-HT3, potenziando l’attività serotoninergica attraverso il recettore 5-HT1A, implicato negli effetti antidepressivi.
Questa azione combinata conferisce alla mirtazapina un profilo farmacologico unico, caratterizzato da un marcato effetto sedativo, ansiolitico e orexigeno. È particolarmente utile nei pazienti con depressione associata a insonnia grave, perdita di peso, astenia o agitazione ansiosa.
La somministrazione avviene in dose unica serale. A basse dosi (15–30 mg) prevale l’effetto sedativo per antagonismo H1, mentre a dosi più elevate (30–45 mg) l’effetto attivante noradrenergico è più pronunciato. Questo aspetto rende la mirtazapina un farmaco “dose-dipendente” dal punto di vista dell’effetto clinico.
Gli effetti collaterali più frequenti sono l’aumento dell’appetito, il guadagno ponderale e la sedazione intensa, che però può essere un vantaggio terapeutico in pazienti selezionati. È invece ben tollerata dal punto di vista sessuale e gastrointestinale. Non sono richiesti controlli ematici o ECG specifici durante l’uso.
Il bupropione appartiene alla classe degli NDRI (Norepinephrine-Dopamine Reuptake Inhibitors) ed è caratterizzato da un profilo farmacologico atipico. Inibisce la ricaptazione della noradrenalina e della dopamina, ma non ha effetti diretti sulla serotonina. Il risultato è un effetto clinico prevalentemente attivante e stimolante, utile nei pazienti con sintomi di anergia, rallentamento psicomotorio, apatia e deficit di concentrazione.
Il bupropione è particolarmente indicato nei pazienti con intolleranza agli effetti collaterali sessuali degli SSRI, essendo neutro o addirittura migliorativo sotto questo profilo. Viene inoltre utilizzato nella cessazione del fumo, grazie all’effetto dopaminergico mesolimbico.
È generalmente ben tollerato, ma non è privo di rischi. Può indurre irrequietezza, insonnia, tremori, cefalea e, soprattutto, riduzione della soglia convulsiva. Per questo motivo è controindicato nei soggetti con epilessia, disturbi dell’alimentazione (anoressia, bulimia) o in trattamento con altri farmaci che aumentano il rischio di crisi epilettiche.
Va somministrato al mattino o entro il primo pomeriggio, per evitare insonnia. Il dosaggio efficace varia da 150 a 300 mg/die. È disponibile in formulazioni a rilascio modificato che ne facilitano l’assunzione e migliorano la compliance.
Il trazodone appartiene alla classe dei SARI (Serotonin Antagonist and Reuptake Inhibitor). La sua azione è duplice: da un lato inibisce in modo moderato il trasportatore della serotonina (SERT), dall’altro blocca selettivamente i recettori 5-HT2A e 5-HT2C, responsabili di molti degli effetti collaterali tipici degli SSRI. Questa combinazione conferisce al trazodone proprietà antidepressive e, al tempo stesso, un marcato effetto ansiolitico e sedativo.
Viene spesso utilizzato in pazienti con depressione accompagnata da insonnia resistente o da intensa componente ansiosa. Alle dosi sub-antidepressive (25–150 mg) viene impiegato quasi esclusivamente per favorire il sonno, mentre per ottenere un effetto antidepressivo pieno sono necessari dosaggi superiori (300–400 mg/die), che tuttavia comportano un incremento degli effetti collaterali.
Oltre alla sedazione, il trazodone può causare ipotensione ortostatica, sonnolenza diurna e, raramente, priapismo. È generalmente ben tollerato a livello gastrointestinale e non provoca disfunzioni sessuali significative, rendendolo adatto a pazienti sensibili a questi effetti.
I modulatori serotoninergici multimodali, tra cui vortioxetina e vilazodone, rappresentano una delle più recenti evoluzioni farmacologiche nel trattamento della depressione. Queste molecole combinano l’inibizione del reuptake della serotonina con l’azione su recettori specifici del sistema 5-HT, ottenendo effetti clinici più ampi e mirati.
La vortioxetina, approvata per la depressione maggiore, inibisce SERT e agisce su diversi recettori: agonista parziale 5-HT1A, antagonista 5-HT3, 5-HT1D e 5-HT7. Oltre all’effetto antidepressivo, sembra possedere benefici cognitivi documentati, rendendola particolarmente utile nei pazienti con deficit di attenzione, memoria o concentrazione. È ben tollerata, con bassa incidenza di disfunzioni sessuali e aumento ponderale.
La vilazodone, non disponibile in Italia, combina l’inibizione di SERT con l’agonismo parziale del recettore 5-HT1A. Ha dimostrato efficacia antidepressiva e buona tollerabilità sessuale, sebbene richieda assunzione con il cibo per garantire l’assorbimento ottimale.
L’agomelatina è un antidepressivo atipico che agisce al di fuori del sistema monoaminergico classico. È un agonista dei recettori melatoninergici MT1 e MT2 e antagonista del recettore 5-HT2C. Il suo effetto principale consiste nella ristabilizzazione dei ritmi circadiani, spesso alterati nei pazienti depressi, con miglioramento del sonno, dell’energia diurna e della regolazione dell’umore.
L’agomelatina è indicata nei pazienti con disturbi del ritmo sonno-veglia, insonnia, stanchezza persistente o sintomi depressivi con alterazione del cronotipo. È priva di effetti collaterali sessuali e non induce aumento di peso. Tuttavia, richiede monitoraggio epatico regolare (transaminasi prima dell’inizio e ogni 6 settimane), a causa del rischio, seppur raro, di epatotossicità.
Il dosaggio raccomandato è 25 mg/die, assunto alla sera. In caso di risposta parziale, è possibile aumentare a 50 mg/die.
Gli antidepressivi di seconda generazione offrono un ampio ventaglio di possibilità terapeutiche, adattabili alle diverse forme cliniche di depressione e ai profili individuali dei pazienti. La loro migliore tollerabilità rispetto agli antidepressivi classici li ha resi lo standard nella pratica clinica moderna.
La scelta del principio attivo deve essere personalizzata, tenendo conto del profilo sintomatologico, delle comorbidità somatiche o psichiatriche, della risposta ai trattamenti precedenti e della tolleranza individuale. In questo contesto, l’approccio più efficace resta quello integrato, che unisce la farmacoterapia a interventi psicologici, psicoeducazionali e di supporto al funzionamento globale del paziente.
Un monitoraggio clinico costante, l’informazione chiara e il coinvolgimento attivo del paziente rappresentano i cardini di una terapia antidepressiva efficace, sostenibile e orientata al pieno recupero funzionale e relazionale.
Classe | Farmaci | Indicazioni preferenziali | Note principali |
SSRI | Sertralina, Fluoxetina, Escitalopram | Depressione maggiore, ansia, DOC, PTSD | Buona tollerabilità, possibili disfunzioni sessuali |
SNRI | Venlafaxina, Duloxetina | Depressione con dolore, apatia, anergia | Possibile ipertensione, effetto attivante |
NaSSA | Mirtazapina | Depressione con insonnia, calo ponderale | Orexigena, sedativa, ben tollerata sessualmente |
NDRI | Bupropione | Anergia, apatia, cessazione del fumo | Attivante, controindicato in epilessia e DCA |
SARI | Trazodone | Insonnia associata a depressione | Ipnoinducente, priapismo raro |
Multimodali | Vortioxetina, Vilazodone | Depressione con deficit cognitivi | Basso impatto sessuale, azione pro-cognitiva |
Agomelatina | Agomelatina | Depressione con alterazione del ritmo sonno-veglia | No effetti sessuali, monitorare funzionalità epatica |