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MUSICOTERAPIA
La musicoterapica si basa sul
concetto che è possibile produrre effetti benefici sulla salute grazie
ai
suoni.
E’ un trattamento che sviluppa una relazione non verbale tra il
terapeuta e il pz. Nasce nel ventesimo secolo ed è divintata una vera e
propria
disciplina da circa cinquant’anni.
Si basa sull’assunto che la musica
sia un
linguaggio universale, una forma di espressione più spontanea, in grado
di
superare i filtri della razionalità ed entrare direttamente in contatto
con i
sentimenti e l’immaginazione.
Utlizza gli strumenti per coinvolgere il
pz. sul
piano emotivo e la musica anche come fonte di appagamento (sia per chi
suona
che per chi ascolta). Presenta una componente attiva ed una passiva.
E’
attiva
quando utilizza gli stumenti (che all’occorrenza possono essere anche
oggetti
di uso comune), la voce o anche il corpo (es. battendo le mani a ritmo
di
musica).
Si dice invece passiva quando le armonie vengono solo
ascoltate e non
praticate.
Durante il primo incontro il musicoterapeuta osserva
l’individuo e
ne studia la personalità, propone alcuni test d’ascolto per capire le
preferenze musicali della persona stabilendo con chi deve lavorare e
che
percorso deve seguire.
In alcuni casi la cura procede attraverso sedute
individuali ma nella maggior parte dei casi si effettua in sessioni di
gruppo
della durata di circa un’ora e mezza. I brani da ascoltare,
soventemente brevi,
vengono selezionati in base alle preferenze musicali e personali del
pz. Le
risposte allo stimolo sonoro sono diverse da caso a caso e nopn è
quindi
possibile stabilire dei percorsi universalmente validi. L’utilizzo di
strumenti
è utile poiché l’individuo tramite questi produce suoni in sintonia con
i
propri sentimenti e stabilisce una comunicazione con gli altri membri
del
gruppo, estrinsecando le proprie capacità espressive attraverso la
musica.
E’
importante l’utilizzo di strumenti molto semplici, generalmente a
percussione
che consentano di comporre anche a chi non ha competenze musicali. Il
canto
viene utilizzato come un’attività liberatoria essendo specchio delle
condizioni
mentali fisiche ed emozionali. Comprendere la propria voce e scoprire
come
vengono emessi i suoni è utile nell’imparare a percepire i significati
celati
dietro le parole.
E’ efficace come unica terapia soltanto in caso di
disturbi
lievi, per quelli più gravi è complessi può comunque essere un valido
ausilio
aiuto alla terapia tradizionale poiché aiuta l’individuo a non
alienarsi, ad
estrinsecare le proprie emozioni e ad avere interesse per qualcosa di
piacevole
(la musica appunto).
PET THERAPY
Con il
termine pet-therapy si
indica una serie complessa di rapporti uomo animale.
Si parla di Animal
assisted activity quando gli animali aiutano persone menomate nello
svolgimento
di particolari attività di tipo educativo o ricreativo finalizzate al
miglioramento della qualità della vita.
Nell’ambito di patologie
psicologiche
si ha un tipo di trattamento che si affianca come coadiuvante alle
forme
classiche di terapia e che prevede l’utilizzo di animali come
co-terapeuti in
grado di stimolare l’individuo da un punto di vista affettivo e
relazionale. Si
parla in tal caso di Animal assisted theraphy (AAT).
Il contatto con
l’animale
oltre a garantire la sostituzione di affetti mancanti o carenti è
particolarmente adatto a favorire contatti interpersonali offrendo
spunti di
conversazione, ilarità e gioco. Può portare a miglioramenti cognitivi
(capacità
mentali, di memoria e pensiero induttivo), comportamentali (controllo
dell’iperattività, rilassamento corporeo e acquisizione di regole),
psicosociale (capacità razionali e di interazione) e psicologici in
sensu
stricto (fobie e autostima).
Il trattamento, finalizzato al
raggiungimento di
obbiettivi specifici, deve essere gestito da un equipe di
professionisti che
includa oltre allo psicologo, adeguatamente specializzato in materia,
anche un
veterinario ed un etologo che scelgano l’animale più adatto che
monitorino lo
stato di salute dell’animale nel corso della terapia e che istruiscano
il pz
(quando possibile), i familiari e gli altri operatori circa il
comportamento
degli animali utilizzati, il tipo e la mole di lavoro che posso
compiere. E’
inoltre indispensabile il ruolo di specifici addestratori e istruttori
che
addestrino l’animale ad interagire con il pz nel modo richiesto.
VAGUS NERVE STIMULATION (VNS)
Una delle nuove frontiere nella
terapia dei disturbi depressivi è la stimolazione del nervo vago
tramite
l’utilizzo di una pace-maker, concettualmente simile a quello cardiaco,
in
grado di stimolare il nervo vago per trenta secondi ad intervalli
regolari di
cinque minuti.
Tale modello terapeutico non è però ancora disponibile
ed in
America è ancora in corso di sperimentazione.
Il pace-maker per il
nervo vago,
sviluppato dalla Cyberonics Inc di Huston in texsas, è piccolo e viene
inserito
nel torace del pz. e collegato nella regione del collo con il nervo
vago di sx.
al quale invia delle stimolazioni elettriche poi trasmesse al cervello.
L’idea
nasce dall’osservazione di pz. epilettici nei quali è già un
trattamento
efficace e diffuso ed ha come effetto collaterale un aumento del tono
dell’umore.
Considerando che il vago connette anche il cervello con la
sua
parte periferica dove sono ubicate le aree di controllo del sonno,
dell’appetito, della concentrazione, della memoria e dell’umore è stato
ipotizzato un suo eventuale utilizzo come terapia antidepressiva e la
sua
efficacia è stat dimostrata da uno studio condotto dai ricercatori Mark
Gorge,
della Medical University of South California, e John Rush, dell’UTS
medical
center di Dallas in Texas.
Per questo studio sono stati selezionati dei
soggetti adulti con sintomi depressivi profondi o con disturbi bipolari
ed è
stato loro impiantato il pace-maker per il vago.
I risultati sono stati
più che
incoraggianti: a distanza di otto settimane dal 30% al 40% dava segni
di
miglioramento, ma quello che più ha sorpreso è che in un buon 20% i
sintomi
erano assolutamente scomparsi. Inoltre il trattamento si è verificato
più
efficace in soggetti già sottoposti a due o più cicli di terapia
farmacologia
senza alcun esito. In questo caso il miglioramento era del 60%;
comunque tutti
i soggetti hanno riportato, in misura differente miglioramenti del loro
stato di
salute.
A questo studio è seguito un ulteriore periodo di verifica
della durata
di circa due anni allo scopo di valutare gli effetti a lungo termine e
l’eventuale insorgenza di effetti collaterali tardivi, dal quale sono
emersi
altri dati interessanti: sembra infatti che i pz che avevano risposto
positivamente alla terapia continuavano a stare bene, e che molti
altri, che
all’inizio non avevano avuto alcun beneficio dalla terapia, dopo due
anni
mostravano notevoli segni di miglioramento, inoltre non è stata
registrata la
comparsa di alcun effetto collaterale o di fenomeni di assuefazione,
cosa che
invece accade per i farmaci.