Gli antidepressivi triciclici sono
così chiamati per la loro struttura chimica che prevede due anelli
benzinici
uniti tra loro da un ciclo mediano ottagonale e sono distinte in ammine
terziarie
o secondarie. Le terziarie, metilate a livello epatico in secondarie,
sono
considerate meno sedative. Loro azione si esplica mediante inibizione
della
ricaptazione neuronale di NA, DA e 5-HT da parte dei neuroni
presinaptici
inducendo un aumento della loro concentrazione a livello della fessura
sinaptica. Nonostante il loro effetto biochimico che si realizza entro
pochi
minuti e l’effetto terapeutico si manifesta, da un punto di vista
sintomatologico in un arco di tempo variabile da 2 a 5 settimane. I TCA
bloccano anche i recettori 5-HT di tipo 2, gli α2-adrenergici, quelli
dell’istamina e i muscarinici. Tutti hanno effetti secondari simili
dovuti alle
loro proprietà anticolinerguche quali secchezza delle fauci, stipsi,
ritenzione
urinaria, tachicardia, disturbi dell’accomodazione e glaucoma acuto.
L’azione
di blocco selettivo a livello degli α2-adrenergici comporta effetti
collaterali
a livello cardiovascolare quali ipotensione ortostatica, difetti della
conduzione e aritmie. Posso inoltre determinare vertigini, insonnia,
irrequietezza, fini tremori, aumento di peso, confusione mentale,
abbassamento
della soglia convulsiva, discrasie ematiche, epatotossicità ed
alterazioni
neuroendocrine. Alcuni sono dotati anche di effetti antistaminici,
potendo
provocare sonnolenza e sedazione. Hanno tutti all’incirca la stessa
efficacia e
la scelta dipende dalla sensibilità del pz. agli effetti collaterali e
alla
durata di azione. Episodi di tolleranza e dipendenza, con deboli segni
di
astinenza possono però comparire dopo brevi periodi. I TCA sono bene
assorbiti
per via orale e grazie alla loro lipofilia hanno un’ampia distribuzione
e
penetrano facilmente nel SNC, hanno una emivita lunga. A causa però del
loro
variabile metabolismo di primo passaggio epatico hanno una
biodisponibilità
bassa e inaffidabile; è necessario pertanto dosarli in base alla
risposta del
pz.. Vengono metabolizzati a livello epatico, coniugati con Ac.
Glucuronico ed
escreti come metabolici inattivi dal rene. I TCA con gruppo amminico
terziario,
quali Imipramina, Clorinpramina, Amitriptilina, doxepina, hanno un
assorbimento
più rapido (1-3 ore) ed una emivita inferiore a 24 ore; quelli con
gruppo
amminico secondario, quali Desipramina, protriptilina e nortriptilina,
hanno un
assorbimento più lento (4-8 ore) ed un’emivita intorno alle 24 ore.
Il
problema
fondamentale del trattamento con antidepressivi triciclici è
rappresentato
dalla frequente insorgenza di effetti collaterali, i più comuni dei
quali
dovuti alle loro marcate proprietà anticolinergiche,
alfa-adrenolitiche, e
antistaminergiche. Sono anche dotati di un’attività lidocaino-simile
che,
insieme al blocco sui recettori alfa-adrenergici e all'attività
anticolinergica, può determinare effetti collaterali a livello
cardiocircolatorio, tra cui l’ipotensione ortostatica è il più
frequente. Per
tutti i TCA, in certi casi già a dosi ritenute terapeutiche, sono state
segnalate alterazioni elettrocardiografiche con possibili disturbi del
ritmo,
finanche a disritmie conclamate o alla tachicardia ventricolare, la
quale, in
alcuni casi di gravi iperdosaggi, può arrivare alla fibrillazione
ventricolare.
In aggiunta a queste ripercussioni sul sistema neurovegetativo e
cardiaco, i
TCA, in soggetti predisposti, possono abbassare la soglia convulsiva,
con la comparsa
di crisi comiziali. Per
quanto riguarda gli effetti neuroendocrini, soprattutto gli
antidepressivi con
azione serotoninergica come la clorimipramina determinano un plus della
secrezione di prolattina con implicazioni a livello della sfera
sessuale quali
diminuzione della libido e dismenorrea. Inoltre, è elevato il rischio
che essi
provochino un viraggio della sintomatologia verso l'ipomaniacalità, o
addirittura la mania franca (soprattutto la tranilcipromina, un farmaco
amfetamino-simile). La frequente insorgenza di effetti collaterali e la
scarsa
maneggevolezza sono importanti ostacoli al loro impiego che risulta
spesso
controindicato in pazienti a rischio, così come in alcune patologie
somatiche e
nell'anziano. A ciò si aggiunge, a causa della loro tossicità, un
elevato
rischio di morte in caso di sovradosaggio volontario o involontario. In
ogni
caso, la scarsa tollerabilità finisce spesso con l'interferire con la
risposta
clinica da un lato (ritardandola o mascherandola), e con la compliance
del paziente
che tende ad assumere il farmaco in modo discontinuo o a sospendere la
terapia
non appena gli è possibile. Al problema tollerabilità, si deve
aggiungere
quindi la percentuale di farmacoresistenza, che può rappresentare
finanche il
30-40% dei pazienti trattati.