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Terapia ormonale del tumore della Prostata

Ai trattamenti locali, precedentemente descritti, a secondo del rischio, si può rendere necessario l’associazione con la terapia ormonale che vada ad inibire il rilascio ipofisario di gonadotropine (LHRH) determinando una castrazione chimica.
Il trattamento ormonale può avere durata variabile dai 2 a 5 anni, di norma si fanno 3 anni.

La terapia ormonale è da prendersi in considerazione come adiuvante nei pazienti radicalmente operati con linfonodi positivi e nei pazienti ad alto rischio trattati radioterapicamente.

Nei pazienti ad alto rischio si utilizza da sola o in associazione integrata con la radioterapia (in quest’ultimo caso il trattamento si definisce integrato e l’ormonoterapia continua anche al termine della radioterapia fino mediamente a 3 anni).

Dopo il trattamento primario i pazienti devono essere sottoposti ad una serie di controlli periodici volti all’identificazione precoce delle recidive e della progressione di malattia.
Il follow-up dei pazienti con tumore della prostata prevede: controllo clinico con esplorazione rettale e dosaggio del PSA trimestrale per i primi 2 anni, poi semestrale fino al V anno e poi annualmente.
Nei pazienti sottoposti a chirurgia è duopo il dosaggio del PSA già a 4 settimane.

In caso di recidiva si interviene prevalentemente con la terapia ormonale.
Le recidive vengono distinte in recidiva biochimica e recidiva clinica:
  • Nella recidiva clinica abbiamo evidenza clinica di ripresa di malattia
  • Nella recidiva biochimica c’è solo un rialzo del PSA.

L’ormonoterapia si utilizza nelle recidive biochimiche ed in quelle cliniche non trattabili localmente.
Le recidive cliniche post chirurgia possono essere trattate con la radioterapia, ma i pazienti sottoposti a radioterapia che vanno incontro a recidiva non possono essere trattati chirurgicamente e vanno indirizzati a terapia ormonale.

Poiché il tumore della prostata è ormonosensibile la terapia ormonale rappresenta un elemento cardine anche del trattamento del tumore prostatico metastatico.

La terapia ormonale nel paziente metastatico si avvale di:
  • anti LHRH: bloccano la produzione ipofisiaria degli ormoni che stimolano le gonadi a produrre androgeni (castrazione chimica)
  • anti-androgeni: bloccano i recettori periferici degli androgeni:
  • blocco androginico totale: associazione di anti LHRH + antiandrogeno.

La presenza o meno di sintomi condiziona la scelta del trattamento ormonale:
  • Nei pazienti con tumore prostatico metastatico asintomatico e non a rischio di sviluppare sintomi si utilizzano gli analoghi del LHRH.
  • Nei pazienti con tumore prostatico metastatico sintomatico o rischio di sviluppare sintomi si inizia con un antiandrogeno Bicalutamide per 7/10 gg (una sorta di sensibilizzazione) poi si aggiunge dopo 7/10 gg un LHRH analogo proseguendo con l’antiandrogeno per almeno altri 7 gg.

Nei pazienti con malattia metastatica estesa si deve associare alla terapia ormonale il docetaxel con schema standard ogni 3 settimane per 6 cicli.

In corso di malattia metastatica è importante la valutazione del PSA e dei livelli di testosterone per valutare la risposta alla terapia ed eventuale progressione di malattia.
In presenza di evidenza di progressione di malattia, clinica o biochimica con innalzamento deil livelli di PSA o incremento dei livelli di testosterone al di sopra di 50 ng/ml (soglia massima da castrazione) bisogna cambiare la terapia, passando da un analogo del LHRH ad un antagonista del LHRH e poi a linee successive.

I pazienti metastatici resistenti alla castrazione possono essere trattati con il abiraterone acetato, un farmaco di nuova generazione che causa blocco enzimatico nell’androgenesi (inibizione di CYP17), da usarsi sempre in associazione a prednisone, o con docetaxel ed in futuro anche con Enzalutamide, farmaco di nuova generazione che agisce a livello periferico sui recettori per gli androgeni.

Pazienti matastatici resistenti alla castrazione ed in progressione dopo docetaxel possono essere trattati con farmaci di nuova generazione quali, i già citati Abiraterone acetato, Enzalutamide, Cabazitaxel (un nuovo taxano) e Ra223 (un nuovo radiofarmaco il cui nome completo è Radio-223 dicloruro).

A questi trattamenti vanno associati trattamenti per le metastasi, che nella maggior parte dei casi sono metastasi ossee e quindi radioterapia palliativa e bifosfonati (Zometa) o con denosumab (anticorpo monoclonale che va ad inibire la formazione di osteoclasti).
Il denosumab è più costoso rispetto allo cometa ma può essere utilizzato anche in presenza di insufficienza renale che invece rappresenta una controindicazione assoluta all’utilizzo di Zometa.



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