L’ipertensione arteriosa è uno dei principali fattori di rischio per le patologie cardiovascolari, poiché impone un sovraccarico emodinamico cronico al cuore. L’aumento della pressione arteriosa costringe il ventricolo sinistro a lavorare contro resistenze periferiche elevate, determinando adattamenti strutturali e funzionali che, nel tempo, possono evolvere in insufficienza cardiaca.
L’ipertrofia ventricolare sinistra rappresenta la risposta compensatoria iniziale all’aumento del postcarico. L’incremento della pressione arteriosa obbliga il miocardio a generare una forza contrattile maggiore per garantire un’adeguata gittata cardiaca. Questo si traduce in un progressivo ispessimento delle pareti ventricolari che piò portare arrivare fino alla disfunzione ventricolare.
Fasi dell'ipertrofia ventricolare sinistra
Fase iniziale: ipertrofia concentrica → Il ventricolo sinistro sviluppa un ispessimento parietale uniforme per fronteggiare l’aumento della resistenza vascolare. In questa fase, il volume della cavità ventricolare rimane pressoché normale, ma la rigidità delle pareti riduce il riempimento diastolico.
Fase avanzata: ipertrofia eccentrica → Se lo stress emodinamico persiste, si verifica una progressiva dilatazione della cavità ventricolare per compensare il ridotto volume di riempimento. Questa fase segna il passaggio verso una condizione patologica, con compromissione della funzione diastolica e tendenza allo scompenso.
Fase terminale: disfunzione diastolica e sistolica → Il ventricolo dilatato diventa meno efficiente, il miocardio va incontro a fibrosi e si instaura una riduzione della frazione di eiezione con progressione verso lo scompenso cardiaco.
L’elettrocardiogramma (ECG) può evidenziare segni di ipertrofia ventricolare sinistra, tra cui l’aumento della voltaggio del complesso QRS e la deviazione dell’asse cardiaco a sinistra. Tuttavia, il gold standard diagnostico rimane l’ecocardiografia, che consente di valutare lo spessore del miocardio. Valori del setto interventricolare superiori a 10 mm sono considerati indicativi di ipertrofia patologica, anche se devono essere interpretati in base alla corporatura del paziente.
L’ipertrofia ventricolare sinistra non solo compromette la funzione ventricolare, ma determina un aumento della pressione atriale sinistra. Questo porta nel tempo alla dilatazione dell’atrio sinistro, con conseguente alterazione dell’architettura elettrica dell’atrio e maggiore predisposizione alle aritmie sopraventricolari, tra cui la fibrillazione atriale (FA).
La FA nei pazienti ipertesi rappresenta un importante fattore di rischio tromboembolico, aumentando la probabilità di eventi ischemici, tra cui l’ictus.
L’ipertrofia miocardica associata all’ipertensione arteriosa determina un maggiore consumo di ossigeno e una ridotta riserva coronarica. Questo, combinato con le alterazioni vascolari tipiche dell’ipertensione, come l’aterosclerosi coronarica e la disfunzione endoteliale, espone il paziente a un rischio aumentato di cardiopatia ischemica che può manifestarsi come:
Angina pectoris: dovuta alla ridotta perfusione coronarica in risposta a uno sforzo.
Infarto del miocardio: secondario alla rottura di una placca aterosclerotica e alla formazione di trombi coronarici.
Cardiopatia ischemica cronica: caratterizzata da una progressiva riduzione della funzione miocardica per ischemia prolungata.
Se non trattata adeguatamente, l’ipertensione arteriosa può evolvere in insufficienza cardiaca, seguendo due principali traiettorie fisiopatologiche:
Insufficienza cardiaca con frazione di eiezione preservata (HFpEF): il ventricolo sinistro è ipertrofico e rigido, con ridotta capacità di riempimento e aumento delle pressioni di riempimento atriali. Si manifesta con dispnea da sforzo e congestione polmonare.
Insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta (HFrEF): il miocardio progressivamente si sfianca, riducendo la sua capacità contrattile e provocando un calo della frazione di eiezione, con elevato rischio di scompenso cardiaco conclamato.
Conclusione
L’ipertensione arteriosa rappresenta un fattore di rischio primario per le patologie cardiovascolari, richiedendo un monitoraggio costante e un trattamento tempestivo per prevenire la progressione del danno cardiaco. La gestione terapeutica include il controllo pressorio con farmaci antipertensivi, la riduzione del sovraccarico miocardico e la prevenzione delle complicanze ischemiche e aritmiche.
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