L’infarto
miocardico acuto (IMA) consiste in una improvvisa necrosi
del
tessuto muscolare cardiaco con danno irreversibile che può condurre a
morte improvvisa.
Nella maggior parte dei casi, il 90% circa, l’infarto miocardico acuto
è sostenuta da occlusione di un vaso coronarico in esito a complicanze
di lesioni aterosclerotiche stenosanti. Il rischio di infarto
miocardico acuto non è correlato alla severità della stenosi ma alle
caratteristiche del placca ed al suo potenziale trombogenico, anche
placche silenti con stenosi non superiore al 50% sono in grado di
provocare ischemia.
Nel restante 10% dei casi invece l’infarto non è dipendente dalla
presenza di placche aterosclerotiche ma può essere causato da:
embolia
coronarica derivata a partenza dal cuore sinistro;
dissezione
aortica;
vasculite
coronarica;
anomalie
congenite delle coronarie.
Le arterie che più spesso vanno incontro ad occlusione sono in ordine
di frequenza la discendente anteriore, la coronaria dx. e la
circonflessa.
In relazione allo spessore dell’area che va incontro a necrosi
ischemica si distinguono:
Infarto transmurale:
così chiamato perche interessa la parete
miocardica in tutto il suo spessore, si verifica in genere in seguito
ad occlusione di un’arteria coronarica, in assenza di cirolazione
collaterale.
Infarto subendocardico:
così chiamato perché interessa solo la
porzione miocardica prossima all’endocardio, meno efficentemente
irrorata rispetto al resto della parete, con aree di necrosi limitate
al terzo interno della parete fino alla metà interna; si verifica in
genere in seguito ad occlusione transitoria di durata inferiore alle 3
ore o in seguito a stenosi subocclusiva con abbondante circolo
collaterale. L’infarto subendocardico evolvere in infarto trasmurale o
restare subendocardico se il trombo va incontro a lisi prima
dell’estensione della necrosi all’intera parete.
Nella stragrande maggioranza dei casi (98% circa) l’infarto si verifica
a carico del ventricolo
sinistro (compreso il setto interventricolare
che funzionalmente e considerato ventricolo sx) che è la camera
cardiaca che svolge il maggior lavoro, necessita per tanto di un
fabbisogno energetico superiore alle altre e d è maggiormente irrorata.
Al termine dell'episodio infartuale l'area necrotica va incontro a
cicatrizzazione fibrosa.
L’esito fibroso
è privo di attività funzionale, non si contrare, (area di
acinesia) e non contribuisce quindi alla forza di pompaggio e può
determinare stasi, la zona firbotica e rigida ma sottile e meno
resistente e può andare incontro a dilatazioni aneurismatiche o
addirittura a rottura.
Se la sostituzione fibrosa è inferiore al 10% non si hanno alterazioni
della funzione globale del ventricolo, quando è superiore si determina
disfunzione sistolica con riduzione della frazione di eiezione.
Quando l’area fibrotica supera il 20% compare insufficienza
ventricolare sinistra.
Quando l'area fibrodica supera il 40% si ha shock.
Il sintomo principale dell’infarto miocardico è il dolore
retrosternale, del tutto identico all’angina, da cui si
differenzia
solo per maggior intensità e durata (superiore ai 20 minuti); ad esso
si associa dispnea, sudorazione, nausea e vomito, sensazione di morte
imminente.
La durata del dolore è variabile di solito superiore ai 20 minuti.
In soggetti anziani e diabetici il dolore può mancare, si parla in tal
caso di infarto silente.
L'esito dell'infarto miocardico acuto dipende dall'estensione della
necrosi e dalla tempestività dell'intervento medico.
E' dunque necessario riconoscere immediatamente l'infarto ed
intervenire il prima possibile per risolvere l'ischemia e limitare il
danno ed in seconda battuta per prevenire nuovi episodi.