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Cardiopatie Ischemiche
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COMPLICANZE DELL'INFARTO MIOCARDICO ACUTO
L’infarto miocardico acuto, a seconda dell’estensione della necrosi e
del distretto colpito può condurre a morte improvvisa o lasciare
reliquati disfunzionali a carico del cuore.
Il tessuto necrotico non è contrattile ed è più sottile e meno
resistente rispetto al tessuto normale e determina alterazioni
emodinamiche.
Quando la necrosi supera il
20%
del miocardio
ventricolare la dilatazione dell’area infartuata e la mancanza della
forza propulsiva determinano
difficoltà
nel pompaggio del sangue con
sua
stasi
nella cavità ventricolare ed alterazione della fase di
riempimento con disfunzione diastolica.
Le aterazioni possono coinvolgere anche le cavità atriali con
estensione del processo stasi
all’atrio omolaterale a cui può seguire congestione venosa e/o
polmonare a possibile evoluzione in scompenso, edema polmonare e shock
cardiogeno.
Quando la necrosi supera il
40%
si arriva allo shock.
Relativamente
invece alla localizzazione del danno negli infarti
apicali le
alterazioni emodinamiche risultano essere più importanti.
Inoltre la stasi ematica, associata all’esposizione di sostanze
trombogene dal tessuto danneggiato può facilitare la formazione di
trombi che possono poi essere pompati in circolo con
embolia sistemica.
La condizione di ischemia determina ipossia con passaggio alla
glicolisi anaerobica, acidosi, accumulo di calcio intracellulare e
fuoriuscita di potassio con alterazione dell’equilibrio elettrico del
miocardio a cui si associa iperattivazione del simpatico, il tutto può
determinare
turbe del
ritmo. Le alterazioni del ritmo cardiaco possono
verificarsi anche dopo la risoluzione dell'infarto per la presenza di
circuiti di rientro cicatriziali.
Le principali alterazioni del ritmo da infarto miocardico acuto sono:
- Tachicardia ventricolare:
è l’alterazione del ritmo più frequente, e
può evolvere in fibrillazione ventricolare che conduce all’exitus. Se
la tachicardia e lieve, ben tollerata e con buon compenso emodinamico
si può trattare con lidocaina o simili, in caso di insuccesso o di
tachicardie più gravi si ricorre alla cardioversione. La terapia
preventiva con β bloccanti e la defibrillazione hanno notevolmente
ridotto la mortalità per fibrillazione ventricolare.
- Extrasistoli ventricolari:
sono molto comuni, ma raramente
influiscono sulla funzionalità del cuore, va tenuta sotto controllo per
la possibilità di insorgenza di tachicardia ventricolare, la terapia
con β bloccanti previene anche le extrasistoli ventricolari.
- Blocco AV: di
gravità variabile, può essere reversibile o in caso
estensione dell’area infartuale al sistema di conduzione irreversibile
ed in alcuni casi richiede anche impianto di pacemaker.
- Possono
verificarsi anche alterazioni del ritmo
sopraventricolare
variabili da semplice tachicardia a flutter e fibrillazione in
conseguenza iperattivazione del simpatico o di sottostante
insufficienza ventricolare.
Quando l’area infartuale interessa i
muscoli papillari
viene meno la
funzione delle cuspidi valvolare corrsipondenti con insufficienza
valvolare.
Talvolta il processo infiammatorio che accompagna la necrosi può
estendersi al di fuori del miocardio e determinare una
pericardite
fibrinosa, talvolta anche con componente emorragica che tende alla
risoluzione con la cicatrizzazione dell’infarto.
Gli esiti cicatriziali infartuali rappresentano un area di minor
restenza che può andare in contro a dilatazioni di tipo
aneurismatico o
rotture.
La rottura del setto interventricolare è meno grave, determina shunt sx
-> con insufficienza ventricolare, ma è meno grava della rottura
della pare ventricolare che è sempre fatale.
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