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GAMMAPATIA MONOCLONALE DI SIGNIFICATO NON DETERMINATO (MGUS)


La gammapatia monoclonale di significato non determinato (abbreviazione MGUS), in passato chiamata anche gammapatia monoclonale benigna, è causata da proliferazione di un clone plasmacellulare con riscontro di una modesta quantità di compnente M, in assenza di evidenza di altre gammapatie monoclonali.

Colpisce prevalentemente gli anziani con una età d’insorgenza mediana di 72 anni e con incidenza che aumenta all’aumentare dell’età (5% in pazienti di età superiore ai 70 anni, 7,5% in pazienti di età superiore agli 80 anni), ed una predilezione per il sesso maschile e la razza negra.

La clinica è per definizione assente, con decorso asintomatico e diagnosi spesso casuale nell’ambito di accertamenti eseguiti per altri motivi.
Per definizione devono anche essere assenti iperclacemia, alterazione degli indici di funzionalità renale e lesioni osteolitiche (che sono invece caratteristici del mieloma multiplo).

Laboratoristicamente si riscontrano bassi livelli sierici di componente M, solitamente inferiore a 3 g/dl. Le immunoglobuline più frequentemente coinvolte sono le IgG e le IgA. La concentrazione delle immunoglobuline non coinvolte nella componente M è normale in oltre la metà dei casi e ridotta nei restanti casi. Può essere presente anche proteinuria di Bence Jones, però sempre inferiore ad 1 g nelle 24 ore.

E’ tipicamente indolente, con decorso asintomatico e non necessita di terapia.
La prognosi è buona ed influenza di poco l’aspettativa di vita del paziente.
Trattandosi di pazienti molto in là con gli anni i soggetti affetti vanno più spesso incontro ad exitus per altre cause indipendenti dalla MGUS.
In una piccola percentuale di casi può evolvere in altre patologie linfoproliferative maligne (più spesso mieloma multiplo o macroglobulinemia di Waldenstrom), in questo caso  prognosi e sopravvivenza diventano quelle della patologia linfoproliferativa subentrante senza nessuna differenza tra insorto de novo o da evoluzione di MGUS.

Non è indicato alcun trattamento specifico, è necessario monitoraggio periodico, generalmente ogni 6 mesi per individuare precoocemente una eventuale progressione verso altro disturbo linfoproliferativo.