Il linfoma
di Hodgkin (abbreviazione LH) è
una patologia neoplastica
della linea linfoide che può colpire tutte le fasce d’età, ma presenta
una curva
di incidenza bimodale con un picco iniziale tra i 15 e i 30 anni ed un
secondo
picco dopo i 50 anni ed ha una predilezione per il sesso maschile
(rapporto
maschi/femmine 1,5:1).
Il linfoma
di Hodgkin è dovuto a trasformazione e proliferazione monoclonale di
elementi
della linea linfoide, caratterizzata dalla presenza di una massa
tumorale
immersa in un contesto di tipo infiammatorio.
Fu descritta
per la prima volta da Sir
Thomas Hodgkin (da cui il nome) nella prima
metà
dell’ottocento. Inizialmente fu considerata una malattia infiammatoria
poiché
composta prevalentemente da cellule infiammatorie di tipo reattivo,
mentre le
cellule neoplastiche (cellule di Reed-Sterling e cellule di Hodgkin)
rappresentano una quota marginale. Negli anni novanta, grazie a
tecniche di
microdissezione è stata dimostrata la presenza e la monoclonalità delle
cellule
di Reed-Sterling/Hodgkin (RS/H). Le cellule RS/H sono cellule molto
grandi che
non esprimo antigeni di superficie ne della linea B ne della linea T ma
presentano il BCR riarrangiato e sono per tanto ascrivibili alla linea
B; tutte
le cellule dello stesso tumore presentano lo stesso riarrangiamento e
sono per
tanto derivate dallo stesso clone (monoclonalità); presentano mutazioni
somatiche nei geni IgH e sono per tanto andate incontro a mutazione
ipersomatica nei centri germinativi; esprimono intensamente l’antigene
di
attivazione CD30 e sono per tanto attivate ed in grado di produrre una
grande
quantità di citochine.
Le principali cellule tumorali sono le cellule di Reed-Sterling:
molto grandi con ampio
citoplasma acidofilo, voluminosi nucleoli occupanti oltre il 50% dello
spazio
nucleare, costituito due o più nuclei con evidente membrana. Altre
cellule tumorali, considerati delle varianti delle cellule di
Reed-Sterling sono le cellule
di
Hodgkin che sono mononucleate e mantengono il necleolo ben
evidente, e le cellule
lacunari che sono caratterizzate da citoplasma chiaro.
In base al pabulum
citologico infiammatorio in cui sono immerse (necessario
per la diagnosi) le
cellule tumorali, si distinguono differenti tipi di linfomi di Hodgkin
che
secondo la classificazione istologica del WHO sono:
Sclerosi
nodulare: forma più frequente (65-70%) costituita da
noduli tumorali circondati
da bande firbrose birifrangenti con prevalenza di cellule tumorali
lacunari;
interessa prevalentemente linfonodi cervicali, sovraclaveari e
mediastinici;
colpisce soprattutto giovani adulti senza predilezione di sesso; è
moderatamente
aggressivo ed ha una prognosi eccellente
Cellularià
mista: seconda per frequenza (20-25%); caratterizzata da
crescita di tipo
diffuso con infiltrato cellulare etereogeneo (linfociti, eosinofili,
plasmacellule e macrofagi) con prevalenza di cellule tumorali
mononucleate
(cellule di Hodgik); nel 70% dei casi è associabile ad infezione da
HBV;
colpisce fascia d’età più elevata con predilezione per il sesso
maschile;
presenta spesso manifestazioni sistemiche, è moderatamente aggressivo
ed ha una
prognosi buona.
A
deplezione
linfocitaria: frequenza bassa (5%); caratterizzata da
scarsa reattività
flogistica con presenza di abbondanti cellule tumorali che possono
essere
prevalenti (sottovariante sarcomatosa) o meno (sottovariante fibrosa)
rispetto
ai fibroblasti; è associabile ad infezione da HBV, è più frequenti in
anziani e
in soggetti HIV+, è moderatamente aggressivo con prognosi meno
favorevole
rispetto ai precedenti. Prevalenza
linfocitaria: frequenza bassa (5%); caratterizzata da
presenza di piccoli
linfociti T, linfociti B ed istociti con componente cellulare tumorale
costituita prevalentemente da cellule linfoistocitiche (a pop corn),
rare
cellule di Hodgkin e riscontro eccezionale di cellule di Reed-Sterling;
interessa prevalentemente linfonodi cervicali ed ascellari; colpisce
soprattutto
maschi di mezza età, ha una prognosi eccellente.
Ricca
in
linfociti: frequenza rara, caratterizzata da infiltrato
infiammatorio con
prevalenza di linfociti T e cellule tumorali RS classiche e
mononucleate; nel
40% dei casi è associabile ad infezione da HBV; è più frequente nei
maschi e
moderatamente aggressivo.
L’eziologia
non è chiara; l’integrazione del genoma del virus di EBV nei soggetti
affetti e
l’osservazione epidemiologica di casi insorgenti in individui della
stessa
comunità suggerisce una correlazione patogenetica tra infezione ed
insorgenza
di LH, non sufficiente però da sola allo sviluppo della patologia e
necessitante dell’intervento di altri fattori quali iperespressione
della
proteina blc-2 (apoptosi), attivazione dei meccanismi cellulari NF-kB
(apoptosi), iperespressione della proteina p53 (attività proliferativa).
Circa la
metà dei pazienti si rivolgono dal medico per la presenza di una
tumefazione
linfonodale in assenza di altri sintomi (varietà A) e
l’altra metà
manifesta
sintomi generici (varietà B) con febbre, sudorazioni, calo ponderale e
prurito
sine materia.
All’esame
obiettivo nella quasi totalità dei casi è presente
tumefazione a
livello linfonodale, tipicamente a livello
sovraclaveare e laterocervicale. Le adenomegalie sono asimmetriche, non
dolenti, ipomobili sui piani sottostanti, tendenti a riunirsi in
pacchetti e
con cute sovrastante sana. Le aree piu colpite si trovano
lungo il decorso
e le diramazioni del dotto toracico (linfonodi lomboaortici,
mediastinici,
fosse sopraclaveari), sono rarissimamente coinvolti cute e apparato GI.
La
diffusione avviene, per via linfatica per contiguità e da ultimo per
via
ematogena.
La
diffusione
per via linfatica porta ad interessamento delle stazioni
linfatiche
poste lungo il decorso dei linfatici che drenano il linfonodo colpito;
in
genere la diffusione è dall’alto verso il basso, ma in caso di
ostruzione del
dotto si può avere diffusione retrograda (inversione di flusso
dall’alto verso
il basso).
L’interessamento
dei linfonodi
mediastinici può determinare tosse secca e dispnea e
raramente
sindrome mediastinica. Più spesso l’interessamento mediastinico è
asintomatico
e dimostrabile solo radiograficamente. L’interessamento mediastinico
viene
definito “Bulky”
quando la massa mediastinica visibile alla proiezione AP della
Rx toracica ha un diametro trasversale massimo maggiore di 7 cm. Dal
mediastino
si può avere diffusione per contiguità al parenchima polmonare.
Le
localizzazioni
extralinfatiche piu frequenti sono quelle polmonari
epatiche ed
ossee.
In relazione
all’estensione della malattia vengono identificati, secondo la
classificazione
di Ann Arbor,
4 stadi:
Stadio
I:
interessamento di una singola regione linfonodale (I) o di un signolo
organo
extralinfatico (Iε)
Stadio
II:
interessamento di 2 o più regioni linfonodali dallo stesso lato del
diaframma
(II) con eventuale estensione ad un organo extralinfatico contiguo (IIε)
Stadio
III:
interessamento di 2 o più regioni linfonodali site sia sopra che sotto
al
diaframma (III) con eventuale estensione a milza (IIIs)
o ad un
organo extralinfatico contiguo (IIIε)
Stadio
IV:
interessamento diffuso ad uno o più organi extralinfatici con o senza
interessamento linfonodale.
Per la
valutazione dell’estensione della malattia, la stadiazione e il
coinvolgimento
degli organi linfatici ed extralinfatici si rende obbligatorio
approfondimento
diagnostico con Rx torace, TC collo, torace ed addome ed ECO addome.
Altro
accertamento obbligatorio è la PET
che consente oltre alla valutazione
quantitativa anche quelle qualitativa ed è indispensabile anche nel
follow up e
nella valutazione della risposta alla terapia.
Per quanto
riguarda le alterazioni
laboratoristiche è caratteristica una linfopenia
assoluta a cui possono associarsi leucocitosi neutrofila, modesta
eosinofilia,
modesta anemia normo o ipocromica con sideremia normale o ridotta e
trasferritinemia ridotta, incremento della VES nella variante B,
incremento di
transaminasi, fosfatasi alcalina e γGT in caso di interessamento
epatico, LHD
(importante
fattore prognostico) indice
della presenza di masse, incremento dell’ALPche
indica interessamento
osseo.
Per la
tipizzazione istologica (vedi sopra) è necessario prelievo bioptico
dell’intero
linfonodo (eventualmente TC guidato od ECO guidato a seconda della
sede).
La terapia
prevede radioterapia nei primi stadi (I e II di Ann Arbor) e
polichemioterapia negli stadi
avanzati (III e IV di Ann Arbor) con autotrapianto riservato a casi
selezionati di forme
particolarmente aggressive.
Gli schemi
polichemioterapici più utilizzati sono MOPP (mostarda azotata,
vincrasina,
procarbazina e prednisone) e lo schema ABVD (adriamicina, bleomicina,
vinblastina e decarbazina). Lo schema ABVD, una volta utilizzato nei
non
responders allo schema MOPP e nelle recidive, è oggi il più utilizzato
ed ha spodestato
lo schema MOPP per via dei minori effetti collaterali rispetto al MOPP
(minor
effetto mutageno ed una minore percentuale di sterilita).
Il 60-70%
dei pazienti guarisce completamente in seguito a terapia.
La risposta
alla terapia è valutata tramite PET che consente valutazione sia
quantitativa
che qualitativa e rispetto alla TC è in grado di distinguere aree di
necrosi
e/o fibrose da residui di linfoma. La negatività PET dopo due cicli di
chemioterapia è un fattore prognostico positivo, la persistenza di
residuo PET
è invece indice di non responsività alla terapia e rende necessaria la
rivalutazione ed il cambiamento del piano terapeutico.