L’ipertensione arteriosa è definita come l’aumento della pressione sanguinia all’interno dell’albero arterioso.
Come in un normale sistema idraulico la pressione interna ai tubi è determinata dalla quantità di liquido presente, dalla forza con cui viene immessa e dal calibro dei tubi.
Nel sistema cardiocircolatorio quindi i determinanti della pressione arteriosa sono la pompa cardiaca, la volemia e la resistenza vascolare.
Il sangue viene pompato nelle arterie dal cuore e quindi dipenda dalla forza con cui il cuore pompa (ma non solo) e varia con il ciclo cardiaco, si distinguono per tanto una pressione arteriosa sistolica e pressione arteriosa diastolica.
In relazione al tipo di pressione che aumenta si distinguono:
Ipertensione sistolica isolata: aumenta solo la pressione sistolica sopra i 140mmHg;
Ipertensione diastolica isolata: aumenta solo la pressione diastolica sopra i 90 mmHG;
Ipertensione sisto-diastolica: aumentano sia la pressione sistolica sopra i 140mmHg che quella diastolica sopra i 90 mmHG.
In relazione all’eziologia (cioè la causa dell’ipertesione) si distinguono:
Ipertensione essenziale: non è nota la causa dell’ipertensione
Ipertensione secondaria: riconosce una causa specifica dell’ipertensione (es. stenosi dell’arteria renale)
Ipertensioni secondarie
Le ipertensioni arteriose secondarie sono conseguenti ad altre patologie che causano un incremento della resistenza periferica e/o della pompa cardiaca e/o della volemia.
Il rene è un organo molto importante nella regolazione della pressione arteriosa poiché regola la quantità di liquidi (e quindi la volemia) tramite filtrazione e riassorbimento e soprattutto per il sistema renina-angiotensina.
In condizioni “percepite” dai recettori renali come ipovolemiche o ipotensive il rene incrementa la renina che converte l’angiotensinogeno in angiotensina I che a sua volta viene convertita in angiotensina II dall’enzima convertitore dell’angiotensina (abr. ACE – importante bersaglio della terapia antiipertensiva)
La maggior parte delle ipertensioni secondarie sono di origine renale, la più frequente è la stenosi dell’arteria renale sostenuta per lo più da placche aterosclerotiche e più raramente da displasia fibromuscolare. Basta una sola arteria renale stenotica per attivare il sistema renina-angiotensina e causare ipertensione.
Oltre alla stenosi dell’arteria renale anche tutte le patologie renali che causano una riduzione del filtrato glomerulare causano una ipertensione arteriosa per attivazione del sistema renina-angiotensina.
Il controllo fisiologico pressorio è anche influenzato dal sistema endocrino: tutte le patologie endocrine che aumentano la secrezione di sostanze vasopressive e/o inotrope positive sul cuore sono responsabili di ipertensione endocrina:
Feocromocitoma: eccesso di adrenalina e noradrenalina
Ipertiroidismo: eccesso di FT3 ed FT4
Iperaldosteronismo: eccesso di aldosterone
Cushing: eccesso di cortisolo
Iperparatiroidismo: eccesso di paratormone che agisce pero in maniera però indiretta, causando ipercalcemia che causa nefrolitiasi che causa ipertensione renale.
Iperreninemia: eccesso di renina causata da neoplasie endocrine secernenti renina, condizione però assai rara.
Nell’ipertensione secondaria i valori pressori alti si configurano come un sintomo di un quadro più complesso della malattia di base.
La terapia delle secondaria consiste nel tenere sottocontrollo, quando necessario i valori pressori per evitare complicanze acute dell’ipertensione e soprattuto la terapia della malattia di base. Risolta la patologia di base anche l’ipertensione si risolve.
Ipertensione Essenziale
L’ipertensione essenziale è la forma di gran lunga più frequente di ipertensione (oltre il 90% dei casi), non si riconosce una causa eziologica certa sulla quale poter intervenire, quindi per definizione l’ipertensione essenziale non guarisce, è una patologia cronica che necessita di trattamento antipertensivo perenne.
Non c’è una causa eziologica certa ma sono state identificate numerose mutazioni genetiche che conferiscono il rischio di sviluppare ipertensione, così come abitudini di vita (fumo e dieta) sono fattori di rischio.
Altro fattore di rischio, purtroppo non modificabile è la senescenza; l’ipertensione aumenta di incidenza all’aumentare dell’età per via delle modificazioni vascolari della senilità.
In vecchiaia i vasi diventano più rigidi ed offrono maggior resistenza periferica quindi ipertensione.
La rigidità vasale oltre che a livello periferico si verifica anche a livello aortico.
In condizioni fisiologiche l’aorta partecipa, seppur in minima parte alla pressione: il sangue pompato dal cuore “rimbalza” contro l’aorta che ammortizza e poi spinge grazie al ritorno elastico, contribuendo all’onda sfigmica ed alla pressione arteriosa. Una maggiore rigidità aortica come si verifica nell’anziano, riduce o abolisce questo meccanismo, richiedendo al cuore una maggiore attività di pompa per sopperire a questa lieve mancanza.
Risulta essere invece protettivo l’esercizio fisico aerobico (almeno 2-3 volte alla settimana).
L’esercizio fisico ottimale è quello che non supera l’equivalente metabolico (quota di ossigeno che l’individuo è in grado di respirare durante l’esercizio senza andare in anaerobiosi).
Tale limite è difficile da calcolare con precisione, lo si fa in centri specializzati di medicina dello sport, ma nel quotidiano non è necessario. Esiste una formuletta che non calcola esattamente l’equivalente metabolico ma che constente di stabilire con buona approssimazione la frequenza alla quale allenarsi senza superare tale limite.
La formula calcola la frequenza di allenamento ottimale come il 75% della frequenza massima teorica (220) meno l’età
75% (220-età) -> per fare un esempio un soggetto di 40 anni si fa il 75% di 180 che è a 135 bpm.
L’ipertensione arteriosa è il più delle volte asintomatica, almeno per valori pressori non troppo elevati e misurabile solo attraverso lo sfingomanometro.
Diventa fortemente sintomatica quando supera il 180 mm/Hg di sistolica o i 110 mmHg di diastolica.
Per innalzamenti più modesti la clinica è di solito silente, si possono comunque avere alcuni segni e sintomi consistenti in mal di testa, vertigini, ronzii alle orecchie, disturbi visivi ed episodi di svenimento. I sintomi sono più frequenti nelle ipertensioni secondarie e mancano quasi sempre in quelle essenziali, almeno inizialmente.
Il problema grosso dell’ipertensione è che livelli elevati di pressione protratti nel tempo determinano della alterazioni croniche soprattutto cardiache, vascolari e renali e possono determinare danni d’organo per eventi ecuti che sono considerate complicanze.
Tra le modificazioni connesse con l’elevato regime pressiori abbiamo delle modificazioni cardio-vascolari di tipo ipertrofico che si configurano come tentativi di adattamento alla maggior pressione.
Il cuore, dovento vincere una maggiore resistenza, aumenta la sua quota muscolare ipertrofizzandosi e sviluppandto una cardiomiopatia ipertrofica ipertensiva.
A livello vasale anche i vasi, sottoposti a maggior forza pressoria vanno incontro ad ispessimento ed aumento della rigidità.
A livello renale gli elevati livelli pressori causano microalbuminuria.
Particolarmente importanti sono i danni renali, fintanto che c’è microalbuminuria siamo ancora in una condizione reversibile, quando il danno renale diventa più consistente si assiste all’instaurarsi di un circolo vizioso ipertensione causa danno renale che a sua volta aumente l’ipertensione che a sua volta aumenta il danno renale e così via.
La microalbuminuria e le alterazioni ipertrofiche cardio-vascolari iniziali possono andare incontro a regressione con il ritorno dei valori pressori in un range di normalità.
L’ipertensione arteriosa rappresenta un fattore di rischio cardiovascolare molto importante, che unitamente ad altri fattori di rischio comuni come ad es. diabete e dislipidemie (sindrome metabolica) ed aterosclerosi può determinare eventi avversi cardio-vascolari anche molto importanti.
Poiché spesso l’ipertensione è silente si raccomanda un periodico controllo dei valori pressori, facilmente eseguibile dal medico di base, ma anche in farmacia la misurano gratis.
Il riscontro di valori pressori sopra 140mm/Hg e 90 mm/Hg è indicativo di ipertensione arteriosa, va tenuto presente però che la pressione arteriosa può variare significativamente nello stesso individuo. Ad esempio se vi misurate la pressione dopo ave mangiato della liquirizia sicuramente avrà qualche mm/Hg di troppo, se vi fate misurare la pressione dopo caffè e sigaretta idem.
La pressione risente anche di condizioni emotive e psicologiche, ad esempio aumenta in condizione di stress.
Esiste anche una condizione chiamata sindrome da camice bianco: in pratica ci si agita durante alla vista del dottore, durante la visita, il medico trova la pressione alle stelle ma se andate a casa e ve la misurate da soli è perfetta.
Il riscontro quindi di un singolo episodio ipertensivo non è molto indicativo, se già diventano più d’uno in diverse occasioni (escludendo cause alimentari, psicologiche e s. da camice bianco) è opportuno indagare la causa dell’ipertensione per vedere se sussiste una causa primaria e distinguere tra ipertensione secondaria ed essenziale ed è opportuno un monitoraggio pressorio delle 24 ore per vedere quanto tempo durante la giornata i valori pressori sono oltre la norma.
La definizione corretta di ipertensione è dunque:
valori pressori persistentemente elevati sopra i 140 mmHg di sistolica e/o sopra i 90 mmHg di diastolica
Sulla base dell’entità dei valori pressori si distinguono differenti gradi di ipertensione, connessi ad un maggior rischio cardiovascolare:
Pressione Sistolica (mmHg)
Pressione Diastolica (mmHg)
Pressione Ottimale
120
80
Pressione Normale
<130
<85
Pressione Normale-Alta
130-140
85-90
Ipertensione Lieve
140-160
90-100
Ipertensione Moederata
160-180
100-110
Ipertensione Alta
>180
>110
Sia la pressione normale che normale-alta sono considerati valori fisiologici, si pone diagnosi di ipertensione arteriosa per valori di pressione persistentemente superiori a 140 mmHg per la sistolica e di 90 mmHg per la diastolica.
La pressiore arteriosa normale-alta è considerata border-line e chiamata anche preipertensione. I soggetti con pressione normale-alta non sono ipertesi ma hanno una maggiore probabilità di sviluppare ipertensione.
Per una valutazione globale del rischio cardiovascolare bisogna tenere presente anche la presenza di altri fattori di rischio come familiarità, obesità, dislipidemie, diabete, aterosclerosi ed alte comorbilità ad impegno vascolare.
Bisogna considerare che spesso l’ipertensione la si riscontra in un quadro più complesso noto come sindrome metabolica, che la sua incidenza aumenta con l’aumentare dell’età e che spesso gli anziani sono pazienti fragili con precario equilibrio omeostatico, con polipatologie ed assumo polifarmacologia.
In base ai livelli pressori ed alla presenza o meno di altri fattori di rischio cardiovascolare si distinguono differti gradi di rischio cardiovascolare:
Altri fattori di rischio
Pressione Normale
Pressione Normale-Alta
Ipertensione Lieve
Ipertensione Moderata
Ipertensione Grave
Nessuno
Nessun rischio aggiuntivo
Nessun rischio aggiuntivo
Rischio Basso
Rischio Medio
Rischio Alto
fino a 2 senza diabete
Rischio Basso
Rischio Basso
Rischio Medio
Rischio Medio
Rischio Molto Alto
più di 2 o con diabete
Rischio Medio
Rischio Alto
Rischio Alto
Rischio Alto
Rischio Molto Alto
Malattia CV o renale
Rischio Molto Alto
Rischio Molto Alto
Rischio Molto Alto
Rischio Molto Alto
Rischio Molto Alto
Per rischio cardiovascolare si intende l'aumentata probabilità di eventi cardiovascolari a 10 anni.
Rischio basso 15% o meno
Rischio medio 15-20%
Rischio alto 20-30%
Rischio molto alto > 30%
Complicanze vascolari dell'ipertensione arteriosa
Nel paziente iperteso i vasi, sottoposti maggior stress parietale rispondono con modificazioni istologiche della parete che conducono ad un ispessimento arteriolare con iperplasia della tonaca media, restringimento del calibro ed aumento delle resistenze periferiche.
I vasi mantengono la capacità di una ulteriore contrazione, in caso di necessita, ma la risposta vasocostrittiva è più lenta, con livelli più elevati del limite superiore di autoregolazione fisiologica.
L'innalzamento di tale limite fa si che per repentini abbassamenti delle pressione e/o della volemia la risposta vascolare sia più lenta e più facilmente tendente a fenomeni di ipoperfusione.
In alcune zone dei vasi la tensione parietale esercitata dalla parete non riesce ad essere contenuta dalle modificazioni iperplatiche e possono verificarsi delle erniazioni della parete note come aneurismi che possono andare incontro a rottura e fenomeni ischemici.
Inoltre i vasi rigidi e poco elastici vanno più facilmente incontro a rottura dopo esposizione a forze meccaniche, ad es. in conseguenza di traumi. Un vaso elastico si piega e torna poi in posizione normale (temporaneo inginocchiamento), un vaso rigità anziché piegarsi si spezza e sanguina. Per cui la perdita di elasticità aumenta il rischio di sanguinamento con i traumi!
Fare particolare attenzione agli anziani ipertesi che battono la testa. Nell’anziano oltre ad una maggiore rigidità vasale, sovuta sia alle modificazioni della senilità che all’ipertensione nel cranio c’è una minore quota idrica che in fa da ammotizzatore. Un bambino piccolo con elevato contenuto idrico e vasi molto elastici se batte la testa, a meno che non dia una craniata spaventosa, non si fa nulla, si alza e ricomincia a giocare, al massimo si fa un piantarello. Un anziano iperteso che cade battendo la testa può avere anche per traumi modesti emorragie cerebrali.
L’esposizione dei vasi ad elevate pressioni può causare anche necrosi arteriolare.
Inoltre l’ipertensione è un fattore patogenetico dell’aterosclerosi, unitamente alle dilipidemie, ed in presenza di aterosclerosi è un fattore favorente la rottura di placca e fenomeni tronmbo-embolici.
Le alterazioni vascolari dell’ipertensione espongono il soggetto iperteso ad una maggiore incidenza di eventi sia ischemici ed emorragici.
Complicanze cardiache dell'ipertensione arteriosa
La complicanza cardiaca più frequente, che si verifca per l'esposizione cronica a regimi pressori superiori alla norma è l'Ipertrofia ventricolare sinistra.
Gli elevati regimi pressori del distretto arterioso induco il cuore ad un maggior lavoro.
Il cuore risponde alle aumentate necessità di maggior forza contrattile con l’apposizione di nuove fibre muscolari miocardiche che determinano ipertrofia, agevolmente visibili all’ECG con uno spostamento dell’asse cardiaco verso sx.
La parte del cuore maggiormente interessata è ovviamente quella sinistra, soprattutto il ventricolo.
La prima parte del cuore ad ipertrofizzarsi è il setto interventricolare, evidenziabile all’ecocardiografia.
Lo spessore del setto interventricolare va considerato come un campanello di allarme quando supera i 10mm. tale limite è arbitrario però dovendo considerare anche le caratteristiche fisiche del paziente: un omone di 100kg, alto 1.90 può avere anche un setto interventricolare di 12 mm. che si considerata normale.
I fenomeni di apposizione di nuove fibre muscolari interessano poi tutte le pareti determinando una ipertrofia concentrica.
Con il perdurare dello stimolo inizia ad aumentare anche il volume della cavità ventricolare con l’ipertrofia che diventa eccentrica ed in ultimo per sfiancamento della parete si ha dilatazione con disfunzione diastolica.
Gli elevati regimi pressori intraventricolari si ripercuotono anche a livello atriale e si possono verificare anche dilatazioni dell’atrio con disarrangiamento delle sue fibre ed insorgenza di artimie sopraventricolari, fino alla fibrillazione atriale.
Nel soggetto iperteso c’è anche un aumentato rischio di cardiopatia ischemica correlato sia alle modificazioni vascolari viste in precedenza, che si verificano anche a livello coronarico, che per la cardiomiopatia ipertrofica che è anch’essa un fattore di rischio ischemico.
Complicanze oculari dell'ipertensione arteriosa
La parte dell'occhio maggiormente soggetta a danni per l'esposizione cronica a regimi pressori superiori alla norma è la retina, con sviluppo di Retinopatia Ipertensiva
La retina è sensibile a vairazioni pressorie e va incontro facilmente a danni.
Il distretto retinico è osservabile agevolmente dall’oculista mediante il fondo dell’occhio, esame che è consigliato a tutti i soggetti ipertesi perchè consente di vedere le arteriole.
Le uniche arteriole visivamente osservabili con facilità sono proprio quelle dell’occhio e riflettono lo stato di compromissione di tutte le arteriole del corpo.
Le alterazioni visibili al fondo dell’occhio sono molteplici, alcune sono esclusiva espressione di retinopatia ipertensiva, altre sono legate alla senilità (importanti anche le modificazioni senili poiché spesso gli anziani sono ipertesi).
Tra le alterazioni retinica si annoverano:
Arterie a filo d’argento: è un aumento del riflesso assiale, causato dall’ispessimento vasale è presente sia nella senilità che nell’ipertensione, nei soggetti anziani ipertesi il riflesso è maggiore
Incroci atero-venosi: gli incroci atero-venosi sono presenti anche fisiologicamente nella retina normale, in quella dell’iperteso gli incroci assumo caratteristiche particolari con arterie ispessite epiù brillanti e vene compresse ed occluse
Essaudati soffici o cotonosi: come quelli della retinopatia diabetica, dovuti ad infarti neuronali con stravaso di materiale neuronale
Essaudati duri: come quelli della retinopatia diabetica dovuti a stravaso di materiale lipidico per aumentata permeabilità
Emorragie a fiamma: emorragie in corrispondenza dei nervi
Edema della papilla: gonfiore del disco otticco per strevaso di liquidi.
In relazione alla presenza di tali elementi la retinopatia ipertensiva si classifica secondo Keith, Wagener e Baker come segue:
>
Grado I: modesti cambiamenti vascolari
Grado II: alterazioni a filo d'argento, tortuosità e compressioni artero-venose
Grado III: emorragie retiniche ed essaudati cotonose e/o essudati duri e lucidi
Grado IV: emorragie retiniche, essudati e papilledema.
In un paziente iperteso le alterazioni retiniche di grado più avanzato compaiono solo in presenza di pressione diastolica superiore a 125 mmHg, mantenuta nel tempo o per inpennamenti notevoli e rapidi dei valori pressori.
Complicanze Renali dell'ipertensione arteriosa
La nefropatia causata dall'ipertensione è nota come nefropatia ipertensiva.
In realtà le interzioni tra pressione arteriosa e funzione renale sono molteplici.
L'ipertensione è sia causa che conseguenza di molte malattie renali.
L’ipertensione causa nefroangiosclerosi già a partire da un anno dopo l’esordio dell’ipertensione arteriosa.
Le prime fasi della nefroangiosclerosi ipertensiva sono solitamente asintomatica con modeste proteinuria e sono reversibili con il controllo pressorio ed il ritorno a livelli di pressione arteriosa nella norma.
Il passaggio da microlabuniuria a proteinuria è indice di lesioni non più reversibili.
Gli elevati livelli pressori determinano delle alterazioni vascolari con ispessimento e fibrosi delle arteriole renali e danni glomerulari focali con alcuni glomeruli sclerotici ed obliterari ed i glomeruli residui, ancora funzionali che diventano ipertrofici.
Con il proseguire degli insulti pressori il numero dei glomeruli funzionanti si riduce fino ad avere una sclerosi totale con insufficienza renale terminale.
La progressione del danno renale aggrava l’ipertensione (attivazione del sistema renina-agiotensia) che a sua volta aggrava il danno renale, si instaura così un circolo vizioso da spezzarsi con la terapia antiipertensiva ed il ripristino di valori pressori entro i limiti della norma.
omplicanze cerebrali dell'ipertensione arteriosa
Le complicanze cerebrali dell’ipertensione arteriosa sono connesse ad alterazioni della circolazione cerebrale e si configurano come danni d’organo dell’ipertensione che possono essere sia di tipo ischemico che emorragico.
Gli eventi vascolari maggiori sono particolarmente pericolosi e possono lasciare sequele invalidanti o condurre a morte.
La complicanza vascolare più frequente è l’ictus, nella maggiorparte dei casi associato a fenomeni di tipo aterotrombotico.
Le complicanze emorragiche sono dovute per lo più a rottura di microaneurismi delle arteriole cerebrali.
Ci sono poi delle complicanze neurologie più sfumate che possono passare inosservate, ma che determinano piccole lesioni che cumulandosi nel tempo possono causare disturbi neurologici.
La leucoraiosi è una sofferenza cronica, diffusa della sostanza bianca sottocorticale, associata ad ipertensione, causata da piccoli eventi ischemici non percepiti, visibili alla TC encefalica come tanti puntini piccoli bianchi, il cumularsi nel tempo di queste alterazioni ischemiche conduce a demenza vascolare.
Crisi ipertensiva
La crisi ipertensiva è un rapido incremento dei valori pressori che raggiungono rapidamente valori molto elevati di pressione arteriosa, con pressione sistolica sopra i 180 mmHg e diastolica sopra i 120 mmHG.
Si accompagna ad un corteo sintomatologico acuto cefalea occipitale pulsante, disturbi visivi, ansia, tachicardia, dispnea (difficoltà respiratoria), acufeni e può complicarsi con manifestazioni d’organo per rottura dei vasi
La crisi ipertensiva non complicata è considerata un’urgenza, va monitorata per prevenire le complicanze d’organo ed è necessario, il passaggio ad una terapia a più farmaci.
Quando i valori pressori sono ancora più elevati co la pressione arteriosa sistolica che supera i 220 mmHG e la pressione arteriosa diastolica che supera i 140 mmHg i vasi possono andare incotro a rottura e determinare d’anni d’organo di tipo emmoragico, particolarmente pericolosi e potenzialmente mortali quando si verificano a livello cerebrale o cardiaco.
La crisi ipertensiva complicata è invece considerata un urgenza e necessita di un abbassamento rapido dei valori pressori tramite vasodilatatori parenterali (sodio nitroprussiato, nitroglicerina, diazossido) ed inibitori adrenergici (labetalolo e fentolamina).
Ipertensione Maligna
L’ipertensione maligna è un tipo di ipertensione arteriosa molto grave, fortunatamente non molto frequente (1% dei soggetti ipertesi) che si caratterizza per un aumento notevole dei valori pressori nell’arco di pochi mesi, con valori che si assestano persistentemente su valori superiori a 180 mmHg per la sistolica e 120 mmHg per la diastolica (come le crisi ipertensive non complicate) ed ha forte rischio di crisi ipertensive complicate con danno d’organo.
La patogenesi non è chiara, sembrano coinvolti fattori genetici che aumentano aldosterone e/o renina.
L’aumentato afflusso di sangue al cervello comporta la perdita del meccanismo di autoregolazione dell’encefalo che determina vasodilatazione cerebrale con edema ed ipertensione endocranica quindi sintomi da ipertensione endocranica (vomito, cefalea, disturbi visivi compresa la cecità temporanea, edema della papilla ottica).
L’aumentato carico pressione pone in difficoltà anche il cuore e determina uno scompenso cardiaco congestizio con edemi diffusi.
A livello renale si instaura una nefroangioscelrosi ipertensiva maligna con una spiccata proteinuria ed ematuria microscopica ad evoluzione verso l’insufficienza renale.
Il danno renale aumenta ulteriormente i valori pressori.
Nell’ipertensione maligna è molto elevato anche il rischio di crisi ipertensive complicate con danno d’organo.
L’ipertensione maligna va trattata aggressivamente in presenza di complicanze d’organo (emergenza), e con più cautela in assenza di manifestazioni d’organo (non emergenza).
Il target dovrebbe essere una diastolica di 95 mm/Hg poichè abbassamenti troppo bruschi della pressione possono causare fenomeni di ipoperfusione che possono risultare particolarmente gravi a livello cardiaco e cerebrale.
Terapia dell'ipertensione arteriosa
L’obiettivo della terapia antiipertensiva è quello di prevenire le complicanze e ridurre il rischio cardiovascolare, riportando i valori pressori al di sotto di 140 mmHg per la pressione arteriosa sistolica e di 90 mmHg per la pressione arteriosa diastolica.
Per soggetti ultrasessantenni può essere accettabile come target anche 150 mmHg di sistolica e 100 mmHg di diastolica.
Il primo passo è ovviamente il cambiamento della abitudini di vita, con astensione dal fumo, alimentazione corretta bilanciata e con poco sale, perdita di peso quando c'è eccesso ponderale, ed attività sportiva aerobica costante (almeno 3 volte alla settimana per almeno 20 minuti).
Il trattamento farmacologico dispone di molte e variegate armi che vanno modulate e calibrate sul signolo paziente.
Le classi di farmaci principalmente utilizzati sono:
Inibitori il sistema renina-angiotensina: agiscono sulla produzione o sull'attività dell'angiotensina
Ca-antagonisti: impediscono l’ingresso del calcio nelle cellule, riducendo la contrazione
Diuretici: agiscono sulla volemia
Farmaci ad azione sul sistema nervoso autonomo: inibiscono lo stimolo vasocostrittore esercitato dal sistema nervoso autonomo
Gli inibitori del sistema renina angiotensina sono essenzialmente:
Sartani: inibiscono il sistema renina-angiotensina competendo con il recettore per l’agiotensina
ACE inibitori: inibiscono l’enzima di conversione dell’angiotensina (abr. ACE)
I calcio antagonisti si distinguono:
Cardiaci: hanno effetto inotroponegativo diminuendo la componente cardiaca dell’ipertensione
Vascolari: determinano vasodilatazione dimunendo le resistenze periferiche
Misti: agiscono ad entrambe i livelli
Diuretici riducono la volemia e si distinguono in
Tiazidici: inibiscono il riassorbimento di sodio e cloro dai tubuli distali
Dell’ansa: inibiscono il cotrasportatore Na-K-Cl, hanno effetto diuretico più potente dei tiazidici
Risparmiatori di potassio: inibiscono il riassorbimento di sodio, ma risparmiano il potassio prevenedo ipopotassemia, si usano in genere in associazione ad altri
I farmaci agenti sul sistema nervoso autonomo agiscono sulla regolazione nervosa della pressione arteriosa e si distinguono in:
Inibitori α2 adrenergici: agiscono a livello centrale (simpaticomimetici) riducono gli impulsi vasocostrittori a partenza dai centri vasopressori del tronco encefalico
Inibitori α1 adrenergici: agiscono sui recettori α adrenergici a livello periferico con azione vasale veno-arteriolare
β bloccanti: agiscono sui recettori β adrenergici, una volta di largo impiego non sono più utilizzati in prima battuta ma utilizzati soprattutto nei casi di comorbilità cardiaca.
Nella scelta dei farmaci da somministrare si segue in genere la regola è ACD (dalle sigle dei farmaci di maggior utilizzo) iniziando la terapia con l’ACE-inbitore e passando negli step successivi a calcio antagonisti e diuretici. Si inizia in genere con la monoterapia e poi eventualmente si fanno associazioni di più farmaci.
La terapia antipertensiva va modulata su ogni singolo paziente e si trova il giusto mix andando per tentativi.
Per un rischio cardiovascolare basso o moderato si inizia con una monoterapia a basso dosaggio. Si sceglie ACE-inibitore in soggetti di età inferiore a 55 anni. Si preferisce calcio-antagonista o diuretico se il paziente ha età superiore a 55 anni o se è di razza negra.
Se vene raggiunto l’obettivo si prosegue con la terapia scelta.
In caso contrario si passa a dosaggio pieno della stessa monoterapia o si prova un altro farmaco in monoterapia prima a bassa dose e poi a dose pieno.
Se si ottiene un buon controllo con la monoterapia si prosegue con il farmaco efficace al dosaggio efficace, altrimenti si passa ad una terapia a due farmaci a dosaggio pieno.
L’associazione più utilizzata è diuretico + ACE-inibitore.
Se l’associazione raggiunge il target si prosegue, altrimenti si cambia coppia di farmaci.
Altre coppie possibili sono ACE-inibitore+Ca-antagonista e sartano+diuretico.
Non associare mai ACE-inibitore e sartano.
In caso di fallimento della duplice terapia si può passare ad una triplice terapia con aggiunta di farmaco ad azione simpatico mimetica o di inibizione adrenergica.
Nel caso in cui il paziente sia ad elevato rischio si parte direttamente da una duplice terapia a basso dosaggio, se non funziona stessa a pieno dosaggio o passaggio ad altra combinazione.
Se non funziona la duplice terapia si aggiunge un terzo farmaco con triplice terapia.
Valutare Rischio CV
Rischio CV Basso/Medio
Monoterapia
Se target non raggiunto si passa a
Continuare stessa Monoterapia con dosaggio pieno
Se target non raggiunto si passa a
Cambiare Farmaco (nuova monoterapia)
Se target non raggiunto si passa a
Dosaggio Pieno della nuova monoterapia
Se target non raggiunto si passa a
Rischio CV Alto/Molto Alto
Duplice terapia
Se target non raggiunto si passa a
Continuare stessa Duplice terapia con dosaggio pieno
Se target non raggiunto si passa a
Nuova coppia di farmazi a dosaggio pieno
Se target non raggiunto si passa a
Aggiungere terzo farmaco (tripletta)
Se target non raggiunto si passa a